lunedì 6 gennaio 2025

IL SOVRANISMO ALLA PROVA DEL FUOCO

di Torquato Cardilli - La storia internazionale sin dall’antichità è ricca di episodi di sequestri di persona, di cattura di ostaggi, di richieste di riscatto e di veri ricatti per ottenerne il rilascio. Secondo Plutarco anche Cesare subì questa sorte. Fu catturato e preso in ostaggio dai pirati della Cilicia, ritenuti i più sanguinari dell’epoca. Fu rilasciato dopo una prigionia di quaranta giorni dietro pagamento del riscatto di un’enorme somma.

Come funzionano queste cose in era moderna dovrebbero saperlo i nostri governanti se non altro perché i nostri servizi segreti se ne sono occupati sempre a frittata fatta per ottenere, dietro trattative e pagamento di riscatti, la liberazione di connazionali (giornalisti e volontari) rapiti in Medio Oriente, soprattutto in Iran che vanta il primato in questa odiosa classifica. Valga per tutti ricordarne qualche episodio.

Dovrebbero saperlo anche gli americani che hanno subito l’assalto nel 1979 della Ambasciata a Teheran con la presa in ostaggio di 52 componenti del personale diplomatico. Trattativa condotta, a dispetto delle dichiarazioni bellicose, per 444 giorni e conclusasi con la liberazione degli ostaggi a seguito dello scongelamento dei fondi iraniani negli Usa che erano stati bloccati all’indomani della rivoluzione.

Lo sanno anche gli inglesi che hanno impiegato 6 anni per riportare a casa nel 2022 una cittadina britannica detenuta in Iran, dietro il risarcimento di oltre 400 milioni di sterline per un acquisto di armi pagato in anticipo dallo Scià, e mai spedite dall’Inghilterra a causa della rivoluzione.

Lo  sanno anche i belgi che nel 2023 hanno accettato di fare uno scambio di prigionieri tra un operatore umanitario condannato a Teheran a 40 anni per spionaggio e un diplomatico iraniano condannato in Belgio a 20 anni per terrorismo.

Lo sanno bene gli svedesi che per ottenere la liberazione di un proprio funzionario accusato di spionaggio e passibile di pena di morte hanno liberato e restituito all’Iran un condannato all’ergastolo.

Lo sanno  anche i francesi che per ottenere, dopo nove mesi e mezzo di detenzione, la liberazione di un loro ricercatore, condannato a 5 anni di prigione, hanno scarcerato un ingegnere iraniano, anche in questo caso ricercato dagli USA per violazione delle sanzioni.

Queste trattative diplomatiche sugli ostaggi generalmente sono coperte da un velo di riservatezza per nascondere la brutalità del sequestro di persona, attuato con le motivazioni più varie, in modo canagliesco da uno Stato o da un’organizzazione terroristica come quella di Hamas.

La diplomazia agisce per evitare che la violazione del diritto internazionale tracimi in una crisi tra stati, suscettibile di escalation progressiva fino allo scontro economico e militare. Il 19 dicembre è stata arrestata a Teheran, senza uno straccio di accusa o di provvedimento giudiziario, la nostra giornalista Cecilia Sala, prelevata di notte in albergo alla vigilia del rientro in Italia.

A questo punto bisogna fare un passo indietro per capire il perché di questo arresto, quale sia stato il livello di superficialità dei nostri Ministri della Giustizia e degli Esteri, quale il motivo dell’assenza di segnali di allarme da parte dei nostri servizi di intelligence  che hanno ignorato di avvertire sulla possibile ritorsione iraniana.

Tre giorni prima dell’arresto di Cecilia Sala, il 16 dicembre, è stato arrestato a Milano, mentre era in transito all’aeroporto di Malpensa, il cittadino iraniano Mohammed Abedini, ingegnere elettronico, su mandato di cattura emesso dalla Giustizia degli Stati Uniti (noto ai nostri Servizi), con l’accusa di aver collaborato con i pasdaran iraniani alla operatività di un drone che avrebbe ucciso tre soldati americani in Giordania.

Il Governo di Teheran ha immediatamente protestato con l’Italia che non ha valutato appieno la pericolosità della nostra azione contro Abedini, a cui il Ministro della Giustizia, unica autorità competente in materia di arresti per estradizioni, ha rifiutato la concessione degli arresti domiciliari su pressioni americane.

Già nelle 24 ore successive alla scomparsa della nostra connazionale era intuibile che fosse stata sequestrata dalle autorità iraniane. La cosa è stata tenuta nascosta per oltre una settimana fino a quando il Ministro degli Esteri Tajani ne ha parlato in tv affermando che aveva chiesto l’immediato rilascio di Cecilia Sala, contro cui non erano state ancora formulate le accuse, detenuta in isolamento nella famosa prigione di Ervin, ma in buone condizioni secondo la rassicurazione fornitagli dall’omologo iraniano.

La telefonata fatta da Sala alla famiglia ha platealmente smentito il pressapochismo di Tajani: ha raccontato di dormire per terra senza materasso, di non potersi riparare dalla luce sempre accesa, di essere stata privata degli occhiali da vista, di non aver ricevuto i generi di conforto consegnati per lei al carcere dall’Ambasciata d’Italia.

È stato allora evidente anche ai ciechi che l’arresto dell’incolpevole Sala, considerata una pedina di scambio, era una brutale ritorsione iraniana per l’arresto di Abedini.

La vicenda si è fatta terribilmente complicata per la triangolazione in cui sono coinvolti anche gli Stati Uniti. Se si vuole porre termine in fretta alle sofferenze di Sala, i commenti roboanti delle forze politiche e dei commentatori che ne chiedono in tv l’immediato rilascio, ovviamente inascoltati da Teheran, dovrebbero lasciare il posto all’unica via percorribile che è quella del negoziato con la reciproca concessione degli arresti domiciliari per arrivare poi a chiudere il contenzioso con il duplice rimpatrio. Del resto se lo hanno fatto tutti perché non potrebbe farlo l’Italia?

Già in passato siamo stati troppo remissivi nella vicenda dei due marò incarcerati in India o per l’assassinio del povero Regeni in Egitto. Ora sarebbe il caso che la sorella d’Italia, dia veramente prova di patriottismo dimostrando nei fatti che la ragione di Stato nella difesa di un connazionale viene prima della richiesta di un alleato troppo abituato a trattarci con atteggiamento da sceriffo.

Per questo Meloni ha preso in mano le redini della politica estera strappandole all’inefficace Tajani e, senza aspettare la visita a Roma di Biden, che non conta più nulla ma che può fare ancora danni, ha fatto un’improvvisa visita lampo a Trump.

Se torna con l’assenso americano a rinunciare all’estradizione di Abedini può vantare un grande successo diplomatico che copre le tante smagliature del suo Governo, ma se torna a mani vuote dovrebbe sentirsi svincolata dalla pretesa americana, sostenuta per una volta da tutto l’arco parlamentare senza dividersi in guelfi e ghibellini. Se non lo facesse dimostrerebbe che il suo è un patriottismo di cartone, agitato nei comizi in modo demagogico da arruffapopoli.

Torquato Cardilli
06 gennaio 2025

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