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mercoledì 11 dicembre 2024

L'INIQUITÀ DEL SISTEMA

di Torquato Cardilli - Per il filosofo e economista scozzese Smith, la società in cui la ricchezza di pochi è prodotta attraverso il lavoro di molti, non può essere prospera e felice se la maggioranza di quei molti sono poveri e infelici.
La questione della disuguaglianza economica era stata condannata anche da Rousseau che definiva contro natura il fatto che un pugno di uomini potessero nuotare nel superfluo, mentre la moltitudine affamata era priva del necessario.

Dal XVIII secolo ad oggi, a differenza di quanto accaduto per l’industria, gli armamenti, la medicina, la scienza, la tecnologia ecc., non si può dire che ci siano stati progressi significativi sul terreno dell’equità economica, sociale e fiscale.

La notizia della super liquidazione da 100 milioni di euro per Tavares, dimissionario amministratore di Stellantis, unitamente a quella dei 25 miliardi di utili incassati dalla ex FCA in tre anni e della distribuzione agli azionisti di dividendi per oltre 15 miliardi (di cui 5 miliardi prestati dallo Stato a tasso agevolato a condizione di investimenti, mai realizzati) sono state delle vere bombe che hanno incendiato il mondo operaio.

Con un’inammissibile iattanza sono state umiliate e ferite le tristi esistenze dei lavoratori, sempre più mortificati da salari di fame, dalla cassa integrazione, dalle migliaia di licenziamenti improvvisi, dalla chiusura di stabilimenti che invece vengono delocalizzati e aperti all’estero.

Per rivendicare i loro diritti negati, gli operai sono scesi in sciopero generale. Ci hanno rimesso, nonostante la magra busta paga, una giornata di salario, cosa a cui non si sottopongono gli assenteisti di professione che hanno avuto il laticlavio del seggio in Parlamento.

Mentre il ministro dello sviluppo economico Urso non ha il pudore di dimettersi per aver detto in Parlamento qualche tempo fa che l’accordo con Stellantis era di produrre un milione di auto all’anno, un altro ministro, Salvini, con sofismi e declamazioni, ha cercato di imbrogliare la gente con l’argomentazione che riducendo e criticando lo sciopero agiva nell’interesse generale.

Il popolo non gli ha creduto, e ha dato fiato alle trombe delle critiche per il lassismo governativo fatto di nepotismo imperante, di protezioni, di conferimenti di incarichi a persone senza titoli, favori, prebende, laute ricompense, a beneficio di parenti e dei soliti ossequienti inservienti e galoppini.

Il “Rapporto sulla situazione del Paese” del Censis, appena pubblicato, mostra un ceto medio impoverito, con i giovani diplomati o laureati che, non potendo più contare sull’ascensore sociale, preferiscono emigrare piuttosto che accettare di essere sfruttati con salari poco dignitosi prescritti dalla Costituzione (vedi art. 36 “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa).

Il mondo politico, che è lento come un pachiderma, deve rendersi conto che la pentola dello scontento ribolle per la enorme divaricazione tra chi ha tutto e chi ha poco o nulla, per l’iniquità economica sociale e fiscale, per la sbilanciata allocazione dei proventi dalle tasse, tutti problemi non differibili le cui conseguenze non sono più tollerabili.

Il Parlamento sta per approvare la legge di bilancio 2025, la terza dell’attuale Governo, che definirei di galleggiamento. Nonostante le mirabolanti promesse elettorali non concede nulla sul piano del lavoro, degli investimenti, delle retribuzioni, dei servizi.

Il problema sociale ed economico della diseguaglianza ha raggiunto, secondo il Cesis, livelli di particolare intensità rispetto alle retribuzioni degli altri paesi più industrializzati. Il reddito medio del segmento più ricco della popolazione è un incredibile multiplo di quello più povero e spetta allo Stato il compito di moderare questo difetto congenito del sistema capitalistico, regolando con il freno fiscale l’eccessivo superamento dei limiti di laceranti disparità economiche, sociali e fiscali.

Fattori esterni, come la stagnazione da Covid e la successiva ripresa dell’inflazione, hanno colpito i redditi del lavoro dipendente più di altre categorie, riducendo il potere di acquisto e obbligando ogni famiglia ad una spending review casalinga sulla scelta dei beni di consumo da acquistare e a ridurne la quantità.

Secondo i dati pubblicati dalla Banca d’Italia, a gennaio 2024, il nostro paese tra i fondatori dell’UE è quello con il più ampio divario di reddito, nel quale il 5% più ricco delle famiglie controlla il 46% della ricchezza complessiva, mentre il 50% più povero ne possiede meno dell’8% con una sperequazione vergognosa tra i più ricchi e i 5 milioni di cittadini sotto la soglia di povertà.

In altre epoche ci sarebbero state rivolte, ma oggi il popolo è sfiduciato, si arrangia come può anche violando la legge sulla scia dei pessimi esempi della classe politica e mostra la propria disaffezione verso il sistema disertando le urne. Ormai la partecipazione popolare alla vita politica non supera il 50% degli aventi diritto. E questo è un pessimo indicatore del disagio popolare. L’apparente passività può nascondere sotto la cenere i germi di una rivolta sociale di cui profitterebbero avventurieri del potere e nemici della democrazia con la promessa di una vita migliore anche a scapito di riduzione della libertà.

Secondo l’art. 53 della Costituzione “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è improntato a criteri di progressività”. Dunque chiunque percepisca un reddito da attività lavorativa o altra fonte, ha il dovere di pagare le tasse. Si tratta di un dovere di solidarietà civile e sociale. Solo adempiendolo, lo Stato può tenere in piedi l’Amministrazione pubblica e assicurare i servizi necessari (salute, scuola, sicurezza, difesa, trasporti, pagamento degli interessi sul debito pubblico, contributi al bilancio UE e alle Nazioni Unite, ecc.) e ogni forma di protezione sociale e del lavoro.

È un principio basilare che poggia, a parole, le sue fondamenta sull’equità fiscale (quanto più si guadagna, tanto più si paga), ma in realtà l’onere più gravoso, rapportato al reddito, pesa in modo maggiore sulle spalle dei più umili. E questo non solo per la tassazione diretta (Irpef), ma anche per quella indiretta (Iva).

Facciamo un paio di esempi elementari: gli aumenti delle accise sui carburanti e dell’Iva su un bene non di lusso ma di largo consumo, non fanno nemmeno il solletico a chi abbia un reddito di decine di migliaia di euro al mese, ma costringono chi percepisca solo una modesta pensione o un reddito da lavoro sottopagato a molte rinunce.

I dipendenti, i lavoratori a reddito fisso e i pensionati (gli unici a pagare tutte le tasse fino all’ultimo centesimo) contribuiscono alle entrate fiscali per il 63,4% del gettito, pur essendo meno del 40% dei soggetti fiscali. La maggiore iniquità, che il Governo non vuole eliminare, è rappresentata dall’evasione fiscale, che anzi è stata incentivata da un premier (defunto) condannato per frode fiscale, da un premier (in carica) che ha definito le tasse come “pizzo di stato”, da un ministro (in carica) inquisito per bancarotta come altri politici dell’epoca berlusconiana, tutt’ora in Parlamento.

In altri paesi l’evasione fiscale è un crimine assoluto per il quale non c’è perdonismo che tenga. Invece in Italia, mentre si decreta come delitto universale la maternità per altri, le pressioni e i condizionamenti delle corporazioni, delle lobby dei poteri finanziari che garantiscono la vita del Governo sono tali che l’evasione raggiunge impunemente la cifra mostruosa di cento miliardi di euro l’anno, (quasi il 20% del gettito fiscale) somma equivalente all’esborso degli interessi sul debito pubblico che viene sottratta agli investimenti ed al welfare.

Chi non paga del tutto, o paga solo in parte, quanto deve non solo sottrae le risorse economiche necessarie allo Stato, ma in definitiva ruba al prossimo campando a spese di quelle categorie che pagano le tasse.

C’è poi un complesso di agevolazioni e di trattamenti puntivi ingiusti. Un contribuente del cosiddetto ceto medio che abbia una retribuzione o introito di 40.000 euro lordi l’anno è sottoposto ad una tassa Irpef del 35%, cioè 14.000 euro con un residuo netto di 26.000 euro, cioè poco più di 2.000 euro al mese, ma chi invece vive di redditi di capitale e plusvalenze finanziarie, anche per milioni di euro all’anno, è tassato solo al 26%.

Inoltre i titoli di Stato e quelli emessi dal Fondo di stabilità europeo (di cui sono piene le banche e i grandi istituti) sono tassati con un'aliquota del 12,5%. Se il popolo fosse correttamente informato su questi dati e sulla ripartizione delle proprie tasse si rivolterebbe contro gli evasori.

Con una raccolta fiscale inadeguata per colpa dell’evasione lo Stato, che scialacqua con la creazione di inutili centri per emigranti in Albania, deve mantenere in piedi uno scadente livello di sanità generale, una scuola modesta, un’amministrazione pubblica inefficiente, un sistema di sicurezza interna e di giustizia molto claudicante, una prevenzione del crimine saltuaria, un sistema carcerario e giudiziario arretrato.

Il Governo avrebbe lo strumento per stroncare l’evasione, solo che volesse adoperarlo: si tratta di confrontare tutte le anagrafi di cui già dispone (elettorale, codice fiscale, tessera sanitaria, assicurazioni, PRA, iscrizioni scolastiche e universitarie, partite Iva, albi di categorie, licenze commerciali e di attività professionali ecc.) .

Basterebbe imporre che chiunque entri in contatto con un servizio offerto o garantito dallo Stato (accesso alle cure sanitarie o ospedaliere di qualsiasi tipo, licenze, registrazione di atti di compravendita di immobili o di veicoli, contravvenzioni, passaporto, atti di stato civile, documenti notarili, passaggi ereditari, ecc.) dovrebbe dimostrare di essere in regola con il fisco.

Naturalmente tutti hanno diritto ad essere curati, ma l’evasore non può usufruire del trattamento sanitario gratuito, che è pagato con le tasse del contribuente onesto.

Altro motivo di iniquità sono i continui condoni a pioggia (sponsorizzati dalla destra) che vengono concessi dal Governo alla disperata ricerca di qualche spicciolo in base al principio che “è meglio poco e subito, piuttosto che tanto dopo”.

L’incasso dell’ultimo condono relativo al concordato preventivo con le partite IVA, inferiore alle attese del Ministero delle Finanze, ha mortificato il contribuente onesto e allo stesso tempo ha indotto quello disonesto a non mettersi in regola contando sulla scarsezza di controlli e sulla speranza che prima o poi arriverà un altro condono..

L’amara conclusione che il cittadino onesto può trarre della passività governativa di fronte alle diseguaglianze e alla perdurante evasione è quella descritta nell’aforisma di José Saramago secondo cui al vertice c’è un gruppo di ciechi che pur vedendo, non vedono.

Torquato Cardilli

11 dicembre 2024

2 commenti:

  1. Alessandra Pestinenzi12 dicembre 2024 alle ore 08:46

    Come si potrebbe mai risolvere na situazione del genere, non lo so !

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  2. Un problema così importante si poteva risolvere nelle urne.

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