di Maurizio Alesi - Fatta eccezione per chi usa con competenza i social per fini culturali, sociali, per fare informazione o servizio pubblico, c’è da chiedersi cosa spinga tanta gente a inondare il web di cazzate, di foto con faccioni deformati dall’obiettivo troppo vicino. Utilizzare Facebook, Instagram, Tik Tok e Whatsapp in maniera compulsiva e maniacale per pubblicare roba inutile e banale è diventata un’attività a cui sembra impossibile sfuggire.
Non importa se non hai niente da dire o da scrivere, l’importante è far sapere che esisti pubblicando qualunque cosa ti capiti davanti o ti passi per la mente. Si può sbattere in pubblico qualunque cosa, si tratti di un piatto che ti accingi a mangiare, la torta di compleanno, una foto al mare (come fosse un evento eccezionale), oppure ridicole immagini autocelebrative in discoteca, al ristorante con gli amici o, peggio, video girati in uno sguarnito locale in cui ci si esibisce in balli di gruppo o al karaoke. Poi c’è la categoria di quelli che non perdono occasione per farti sapere sempre dove si trovano e cosa stanno facendo. Ma non in occasione di viaggi importanti con paesaggi mozzafiato o azzurre barriere coralline. Non serve. Ci si accontenta di mostrarsi sotto casa mentre si passeggia il cane al guinzaglio per fargli fare la pipì.
Un posto di rilievo meritano le foto di gruppo col pollicione alzato o con le dita in segno di vittoria o con l’indice che indica la persona che ti sta accanto, qualunque cosa significhi quel gesto. Nelle foto community è d’obbligo mostrare espressioni raggianti o accattivanti per dimostrare che ti stai divertendo alla faccia degli sfigati nullafacenti e privi di iniziativa. Loro si, che sanno come si vive. Ho visto persino post di gente che non rinuncia a farsi i selfie neppure quando si trova in ospedale o al pronto soccorso distesi su una barella con facce afflitte, scrivendo frasi vittimistiche per ricevere tanti cuoricini, frasi consolatorie del tipo: coraggio, tieni duro, riprenditi presto (anche se si tratta di un’unghia incarnita). Insomma, la smania di mostrarsi, di rendersi visibili, di uscire dall’anonimato costituisce una vera e propria epidemia che non risparmia più nessuno.
Non si tratta solo di ragazzini che tutto sommato hanno l’alibi di essere figli di questa generazione, ma ancora più patetici sono gli adulti e gli anziani che pensano di ringiovanire abbandonandosi a comportamenti regressivi che a una certa età si dovrebbe essere in condizioni di controllare. Non parliamo dei disturbatori seriali che all’alba ti augurano il buongiorno con la tazzina di caffè fumante e poi buon pomeriggio e buonasera. Ma possono andare a letto senza inviarti l’immagine di un cielo stellato e la luna, col pensierino della buonanotte? Taluni mandano i saluti guardando il calendario: buon lunedì, buon martedì… Ti torturano con quei fastidiosi bip che segnalano un messaggio in ingresso che tu apri, perché aspettavi una comunicazione importante. Magari lasci qualcosa in cui eri impegnato per trovarti davanti a una faccina che ride o un cuoricino. È a quel punto che ti verrebbe voglia di passare per le mani il mittente. I più fanatici vanno oltre dispensando auguri in tutte le feste comandate, nei week end, all’inizio di ogni stagione, per le ferie, ma anche se hai solo cambiato l’immagine del profilo.
Ma se c’è una cosa davvero insopportabile in questo impazzimento collettivo che azzera ogni residuo di privacy, sono i post e le storie (chissà poi perché le chiamano così), sui propri figli, fratelli, mogli e affini che ne esaltano le qualità, le bellezze, le prodezze, il diploma, la laurea, il fidanzamento o la macchina nuova, senza riuscire ad apprezzare il gusto della riservatezza che, almeno in certe circostanze familiari risulterebbe più apprezzabile e signorile. I social sono il racconto h24 delle giornate, anche le più mediocri, di chi ama raccontarsi bombardando il web di luoghi comuni senza un briciolo di originalità che non interessano nessuno. Sono atteggiamenti di esibizionismo fine a sé stesso, non si sa bene mossi da quali meccanismi psicologici inconfessati. E che dire degli improvvisati filosofi che con presunta saggezza vergano i loro aforismi raccattati qua e là, insegnandoci la morale con perle di saggezza. Ci indicano come riconoscere un’ipocrita da una persona schietta o ci dettano il decalogo dell’amicizia. Insomma, attraverso i social c’è davvero molto da imparare.
Penso a tutti gli anni sprecati dalla mia generazione andando a scuola, studiando sui libri, senza aver potuto usufruire di cotanta cultura diffusa e gratuita messa oggi a disposizione dai social. Provo invece un certo divertimento per gli sconosciuti che s’improvvisano comunicatori con le loro “dirette” a profusione sul nulla, pensando di avere un seguito e di influenzare chi li ascolta. Ma davvero ci siamo ridotti a questo livello, alla ricerca spasmodica dei “Mi piace” pensando che basti un video trash o una foto trasgressiva per sentirsi un divo. Mi viene in mente l’indimenticato Umberto Eco nella sua memorabile lectio magistralis in cui ebbe a dire: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Come non essere d’accordo.
Maurizio Alesi
03 Novembre 2023
I social sono una bellissima invenzione e un'opportunità per interagire con tantissime persone al di la delle distanze. Tutto ciò è stato possibile grazie ai sistemi di comunicazione avanzati come internet, la vera rivoluzione dell'informazione. Una conquista per tutti e un mezzo enorme a disposizione quasi gratis. Non è poco. Ovviamente, come tutto ciò in uso agli umani può diventare negativo e pericoloso. E se utilizzato male può dare voce anche a chi non lo meriterebbe. Ma questa si chiama libertà ed è molto meglio così che, invece, immaginare un qualche controllo preventivo.
RispondiEliminaNessuno nega l'utilità dei social (che viene affermata come premessa nel mio articolo). Né è in discussione la libertà di scrivere tutto ciò che si vuole. Il senso dell'articolo era un altro. Era quello di dimostrare quanto sia caduto in basso il livello culturale di una stragrande maggioranza di gente che popola il web. Se lo dice Eco ritengo di poterlo condivide anch'io.
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