di Torquato Cardilli - Perché questo titolo cinico, senza un minimo di pietà per le famiglie che hanno perso tutto?
Perché questo è l’atteggiamento delle autorità di qualsiasi livello, dei partiti, delle lobby di potere, della finanza che specula su tutto.
Da questo punto in poi riproduco un articolo scritto due anni fa, il 5 ottobre 2020.
“Siamo in autunno e non è una novità se si scatenano grandinate e piogge insistenti, più devastanti dei temporali estivi, che da parecchi anni hanno assunto una virulenza ed una frequenza fuori dell’ordinario, con conseguenze disastrose.
Tv, radio e giornali, di qualsiasi tendenza, colore ed editore, oramai ripetono stancamente sempre gli stessi titoli ad effetto: bomba d’acqua, condizioni meteorologiche imprevedibili, precipitazioni eccezionali di tot millimetri in pochissimo tempo, inondazioni e straripamenti, frane e raffiche a tot chilometri l’ora tipo uragano, alberi sradicati, impianti devastati, agricoltura in ginocchio, ponti che cadono, caos del traffico, sottopassaggi invasi dall’acqua, ferrovie interrotte, interventi della protezione civile, vigili del fuoco, volontari ecc., tot vittime, tot dispersi, tot salvati, tot miliardi di danni.
Tutti numeri terribili che fanno parte di una ripetitiva ritualità di contabilizzazione delle perdite di vite umane, di devastazioni di attività economiche, di degrado del patrimonio culturale e del prestigio nazionale come se tutto questo fosse un’abituale e ineluttabile tassa da pagare alla natura.
Le manifestazioni di solidarietà (a parole) delle alte cariche dello Stato verso i familiari delle vittime, la partecipazione ai funerali, le visite ai luoghi disastrati grondano ipocrisia. Le stesse autorità, garanti dell’amministrazione della cosa pubblica, sono responsabili di aver fatto poco o nulla negli anni precedenti per mettere il paese al riparo, quanto più possibile, dai flagelli climatici.
I vari politici che intervengono su tutti i mezzi di informazione per dibattere sul recovery fund (di 209 miliardi, di cui quasi 100 a fondo perduto), sui continui battibecchi tra Regioni e Stato centrale a proposito di competenze sulle misure contro il degrado ambientale, non arrossiscono di vergogna per la loro insipienza. Non hanno ancora capito che il clima nel mondo è definitivamente cambiato, che si stanno sciogliendo i ghiacci dell’Antartide, che si sta dissolvendo il permafrost della Siberia, che la Groenlandia (su cui aveva messo gli occhi Trump) subisce il peggior disgelo della storia perdendo 11 milioni di tonnellate di ghiaccio al giorno, e che un paese fragile come l’Italia ne subisce già adesso le nefaste conseguenze. Nessuno che si preoccupi di mettere a bilancio la sicurezza dei fiumi, delle piante, delle strade, dei sottopassaggi, delle ferrovie, delle infrastrutture viarie di fronte alla devastazione della furia atmosferica.
Viceversa i potenti, quelli che hanno in mano le sorti dei cittadini, quelli che nelle cerimonie stanno sempre in prima fila, sono molto abili nello sport dello scarica barile rimpallandosi le responsabilità politiche ed amministrative. Ogni disastro resta sempre senza uno straccio di responsabile umano. La colpa, come duemila anni fa, è divina!
Mai un Ministro, un Presidente di Regione o un Sindaco, invischiati in una politica sorda alle esigenze della gente, che si dimetta per non aver dato priorità nella loro azione quotidiana al recupero dell’ambiente per fronteggiare il disastro, ormai non più imprevisto, con piani operativi concreti.
La ripetitività ciclica di tali fenomeni dalle Alpi all’Etna, dalle coste del Tirreno a quelle dell’Adriatico è un fatto talmente accertato e ricorrente che gli amministratori inetti non possono più nascondersi dietro il paravento dell’imprevedibilità o della mancanza di fondi.
Una frana si può contenere, il fango può essere deviato, gli sbarramenti temporanei e gli argini possono essere monitorati e rinforzati, gli alvei dei fiumi e dei torrenti montani possono essere controllati e ripuliti dai tronchi e da ogni genere di rifiuti, le strade (specialmente quelle cittadine) possono essere tenute sempre in ordine senza gli intralci del fogliame e della spazzatura negli scoli, i ponti possono essere sottoposti a una costante manutenzione, il territorio può essere reso geologicamente sicuro e protetto, le piante, le mura antiche e i ruderi storici possono essere curati: abbiamo tutta la tecnologia necessaria per progettare ed eseguire opere e misure di manutenzione di un patrimonio unico al mondo e di prevenzione dei disastri. Allora cos’è che non funziona?
Non funziona la politica, complice del dissesto del territorio che ha condonato la cementificazione laddove è proibita oltre che dalla legge anche dalla logica e dal buon senso, che si è mostrata indifferente al degrado continuo del patrimonio culturale e del paesaggio, che ha partecipato sistematicamente, e sempre con maggiore improntitudine e vigliaccheria, al banchetto degli affari imbandito dai costruttori a cui l’interesse pubblico fa venire l’orticaria e che anzi se la ride nel letto quando sentono la notizia di catastrofi che significano appalti milionari.
Mancano i soldi? No, manca la volontà e l’intelligenza di una classe dirigenziale autoreferenziale, interessata solo al proprio benessere ed alla conservazione del potere.
Se la politica (il termine dovrebbe indicare la sana amministrazione della città) che ha tutti gli strumenti per intervenire fa le leggi illeggibili, mae interpretabili, che non servono a nulla o che non possono essere applicate per mancanza dei decreti attuativi, o che restano sulla carta per assenza dei finanziamenti, o che vengono bloccate dai conflitti di potere o bypassate per la resistenza delle lobby e della burocrazia non è colpa di Giove pluvio, ma degli uomini immeritatamente elevati al rango di amministratori pubblici mentre in realtà sono professionisti del nulla, maestri dei distinguo cavillosi, profittatori di prebende, sfruttatori di privilegi.
Abbiamo esperti geologi che da anni predicano al vento e predicono i guai che si verificano puntualmente, archeologi e restauratori pronti a mettersi al servizio del bene comune per la protezione del patrimonio culturale, dipartimenti universitari che sfornano di continuo studi sui pericoli di disastri causati dall'inarrestabile innesco di eventi naturali, genio militare e della protezione civile che sanno benissimo quali sono i punti critici della tutela del territorio, ma il miracolo italiano consiste nella negazione della fisica galileiana con un ineffabile “eppur nessun si muove!”
Dopo l’ennesima alluvione nelle Marche (oltre a quelle registrate in Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Campania, Calabria, Sicilia Sardegna, Abruzzo, Toscana) che ha devastato città, case, negozi, raccolti, infrastrutture, ingoiato automobili macchinari e attrezzature, c’è da domandarsi perché gli elettori non abbiano cacciato a pedate i politici fanfaroni, incapaci di comprendere che la natura non fa sconti, che la natura stuprata ha memoria, che non dimentica le ferite inflittegli e che si riprende con violenza tutto insieme quello che era suo e che le è stato tolto poco alla volta con il saccheggio del territorio.
Perché tutti aspettano il prossimo disastro, dimentichi delle accuse di fare solo bla, bla, bla lanciate da Greta Thunberg, da Mercalli, da Tozzi?
Anziché, intestardirsi su opere tipo cattedrali nel deserto, il ponte sullo stretto o sull’acquisto dei bombardieri F35, il prossimo Governo pur alle prese con la recessione senza limiti per la crisi di fiducia, crisi energetica, guerra in Ucraina, sanzioni devastanti per il nostro tessuto produttivo e sociale, dovrà varare, in linea con le nuove direttive europee, queste cose:
-un colossale piano di protezione ambientale da almeno 50 miliardi di euro per dare corso immediato ad un programma di recupero dei siti archeologici, di messa in sicurezza del territorio, del paesaggio, dei litorali, dei bacini idrografici e fluviali, radendo al suolo tutte le costruzioni abusive edificate in luoghi vietati dalla legge;
-un piano di edilizia scolastica e popolare;
-un piano di realizzazione su tutti gli edifici pubblici (dalle scuole agli ospedali, dalle infrastrutture militari e di polizia, agli uffici comunali e ministeriali ecc.) di impianti fotovoltaici”.
Torquato Cardilli
19 settembre 2022
La natura fa il suo corso, ma gli uomini gli spianano la strada
RispondiEliminaLa transizione ecologica purtroppo doveva partire tanti, tanti anni prima!!! Bloccare il programma dei 5s è cinismo!!!
RispondiEliminaBASTARDI CRIMINALI.
RispondiEliminaMarche, i fondi stanziati nell’86: tutto fermo ancora oggi. Così il fiume Misa è rimasto area a rischio
di Rinaldo Frignani
Tre alluvioni in 16 anni. Un solo cantiere aperto ma non è a regime. Per mettere in sicurezza gli argini servono vasche di contenimento. Non sono mai state realizzate per la burocrazia e per l’impatto ambientale. Trentasei anni per assistere impotenti ad almeno tre alluvioni, costate una ventina di morti e danni per milioni di euro, e a una miriade di episodi minori collegati comunque a ondate di maltempo che non sono stati sufficienti per spingere chi avrebbe dovuto a mettere in sicurezza il fiume Misa. Un corso d’acqua «a carattere torrentizio» che — come l’ingegner Alessandro Mancinelli, già consulente del comune di Senigallia aveva spiegato tempo fa in una sua relazione sul Piano straordinario di individuazione delle aree a rischio idraulico — è capace «di portate nulle nel regime di magra e di piene di centinaia di metri cubi». Anche senza bombe d’acqua, evidentemente.
È in particolare dal 1986, quando sono stati stanziati miliardi per la messa in sicurezza degli argini del Misa con i Fondi per gli investimenti e l’occupazione (Fio), che si comincia a parlare di cantieri da aprire a Senigallia per evitare le alluvioni che si sono susseguite numerose fin dal 1765: solo dal Novecento sono già state 13, le ultime tre in soli 16 anni. Tutto ruota attorno alla creazione delle aree di laminazione, che servono a invasare le acque della piena e impedire che escano dagli argini e vengano mandate a valle. «Si tratta di milioni di metri cubi d’acqua», spiega Erasmo D’Angelis, ora segretario generale dell’Autorità di bacino del Tevere ma che nel 2014 — proprio all’indomani dell’alluvione del 3 maggio che ha colpito sempre Senigallia provocando quattro morti — era il coordinatore della struttura di missione di Italia sicura, il programma del governo Renzi che aveva stanziato 45 milioni di euro degli otto miliardi complessivi.
Domenico Morano, peggio, l'unica opera che hanno fatto ha paratie laterali chiuse e altezza non idonea ha fatto da tappo ad un fiume gonfio e pieno di detriti....
EliminaCondivido parola per parola
RispondiEliminaIntanto il migliore viene premiato a New York ....
RispondiEliminaAppunto! Non hanno mai fatto niente per la salvaguardia del territorio, vuoi che facciano qualcosa adesso? Più comodo date la colpa al cambiamento di clima. Quello che si sonomessi nella loro testa bacata!
RispondiEliminaDa leggere tutto! E poi riflettere🤬🤬
RispondiEliminaFondi stanziati e dati e MAI utilizzati...
RispondiEliminaAlcuni comuni hanno fondi destinati a interventi sul territorio fermi dal ..1986...poi si piangono i morti...
Inoltre i comuni anziché spendere soldi per quelle stupide sagre , feste di paese e luminarie utilizzassero i soldi per mettere in sicurezza i loro territorio è inammissibile e vergognoso che ad ogni pioggia bisogna contare i morti e distruggere tante famiglie