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martedì 9 agosto 2022

IL RITORNO DEI GRANDI IMPERI E LA GUERRA FUTURA

di Torquato Cardilli - Della guerra in corso da sei mesi in Ucraina, che per ora è uno scontro indiretto tra Usa e Russia sul piano politico, economico e commerciale, i politici ormai sanno e dicono quasi tutto quello che fa loro comodo ma ignorano tutto quello che vogliono ignorare, cioè i sacrifici dei loro popoli.
Tendono a parlare con accenti sempre più intonati al bellicismo, che è l’esatto contrario del linguaggio diplomatico: agli Stati Uniti che sperano in un logoramento russo causato dai costanti aiuti militari all’Ucraina e a seguito dell’impatto delle pesanti sanzioni economiche, risponde la Russia con l’intenzione uguale e contraria di puntare sul logoramento militare dell’avversario fino ad ottenere il riconoscimento dell'annessione della Crimea e del Donbass.

Tutto questo ai livelli di vertice dato che le continue riunioni del G7, dell’UE, del G20, del CdS dell'ONU, non hanno registrato progressi; viceversa a livello popolare, soprattutto in Europa che sta in mezzo ai contendenti, si registra una crescente insofferenza per la rigidità delle posizioni non disposte al negoziato, per le privazioni che tutti subiscono, per i tagli ai rifornimenti energetici, industriali, alimentari, aggravati dal balzo dei prezzi degli idrocarburi, dell’inflazione, della siccità e delle strozzature del ciclo produttivo.

Il regime delle ripetute e progressive sanzioni imposte dall’America, a cui l’intero Occidente si è adeguato, dovrebbe averci insegnato che esse intese come deterrente per punire il destinatario in realtà fanno più male a chi le adotta, specialmente se si è strutturalmente fragili e senza risorse.

L’Europa e l’Italia sono un esempio di come si possa essere gradassi su piedi d’argilla. La declaratoria orgogliosa di punire Mosca riducendo progressivamente gli acquisti di gas contrasta miseramente con la preoccupazione se la Russia, battendoci sul tempo, li taglia subito obbligandoci ad importazioni da altri paesi a prezzi triplicati o quadruplicati, con l’aggravante delle conseguenze politiche e sociali per la recessione, la svalutazione di fatto dell’euro sul dollaro e l’inflazione galoppante.

Secondo l’analisi di Kissinger, il più anziano e prestigioso ministro degli esteri vivente, il mondo del XXI secolo, come accadde nell’epoca post Napoleonica, per avere un altro periodo di pace deve tornare alla diplomazia della restaurazione dei vecchi imperi.

Tutto il multilateralismo del ventesimo secolo ha fallito perché le grandi potenze non hanno abbandonato la loro ambizione di supremazia. I tre “imperi” viventi americano, russo e cinese anziché convivere accontentandosi delle rispettive aree di influenza, provano a testarsi reciprocamente in vista dello scontro finale per l’egemonia che segnerà l’autodistruzione.

Tutti gli altri paesi e le Organizzazioni internazionali che non hanno ambizioni imperiali, vivono al bordo ring, tifando per l’uno o per l’altro, ma stando accorti a non esagerare per evitare guai peggiori.

Siamo seduti sull’orlo del burrone e la politica intenta ai fatti e alle beghe terra terra non si preoccupa né del come né del quando scoppierà la guerra futura, suscettibile di un esito catastrofico, tenuto conto che ci sono bombe a tempo già piazzate, pronte all’innesco in Europa, in Medio Oriente, nel Pacifico.
In un’area ancora più vicina dell’Ucraina tornano a rullare strani tamburi di avvertimento di possibile sconquasso della stabilità europea.

Dopo trent'anni torna a farsi viva l’ostilità tra Serbia e Kosovo, la cui indipendenza, strenuamente voluta dagli Usa in funzione anti Russia, non è tuttora riconosciuta dalla Serbia stessa che si considera una vittima dell’amputazione voluta dall’Occidente.

Sullo stesso versante del non riconoscimento sono la Russia, la Cina, e vari paesi membri dell’Unione europea (la Spagna, Cipro, la Grecia, la Slovacchia, la Romania), seguiti dalla Nigeria e dall’Uganda e da un nutrito numero di staterelli dell’Africa, dell’Oceania, America Centrale e Latina (Suriname, Burundi, Papua Nuova Guinea, Lesotho, Comore, Dominica, Grenada, Salomone, Madagascar, Palau, Togo, Repubblica Centro Africana, Ghana, Nauru, Sierra Leone) che dopo aver stabilito relazioni diplomatiche con le autorità kosovare, nel 2017 hanno fatto marcia indietro con indubbie conseguenze a livello di voti alle Nazioni Unite.

Il Kosovo di fatto è un protettorato dell’Onu che vi ha dispiegato la forza internazionale Kfor a guida Nato per controllare sul posto la situazione al confine con la Serbia, pronta a intervenire se la stabilità fosse messa in pericolo.

La questione che ha fatto andare in ebollizione il pentolone del Kosovo è stata la decisione di non considerare più validi i documenti e le targhe serbe nel nord del paese. La maggioranza residente di etnia serba ha inscenato violente reazioni contro la polizia di confine tanto che il governo di Pristina ha rinviato di qualche settimana l’entrata in vigore delle nuove misure.

Nel Medio Oriente, il continuo stillicidio di lancio di razzi da Gaza e le risposte dure di Israele con pesanti bombardamenti e rastrellamenti nella Cisgiordania occupata, non fanno più notizia trattandosi di fiammate del permanente stato di guerra d’attrito tra Israele e i palestinesi, ma c’è un altro soggetto pericoloso che si è sentito provocato e spinto alla sfida.

Nel 2014, dopo anni di trattative diplomatiche tra il gruppo dei cinque + uno (Usa, Gran Bretagna, Francia, Cina, Russia + Germania senza l’Italia) e l’Iran si era pervenuti all’accordo (avversato da Israele che si sente minacciata dall'estremismo iraniano degli ayatollah) sulla non utilizzazione da parte di Teheran dell’energia nucleare a scopi militari in cambio di un ammorbidimento del regime sanzionatorio, imposto dagli Stati Uniti e osservato dall’Unione Europea da oltre trent'anni.

La presidenza Trump ha stracciato quell’accordo e l’Iran si è sentito libero, perdurando le sanzioni, di dirottare parte della produzione dell’uranio a scopi militari. È di questi giorni l’annuncio della possibilità tecnica, di costruire una bomba atomica, già posseduta nell’area da Israele.

Come se queste preoccupazioni non fossero sufficienti a tenere la situazione in stato di massima attenzione, un’imprudente iniziativa della speaker della Camera dei Deputati americana, Nancy Pelosi, terza autorità USA, ha fatto improvvisamente salire di molto la temperatura tra Cina e Stati Uniti, accorciando i tempi di uno scontro che appare sempre più vicino.

Pelosi, infischiandosene dell’avvertimento contrario del Presidente Biden e della stampa, ha effettuato, dopo 25 anni di assenza di contatti ad alto livello, un viaggio ufficiale a Taiwan, repubblica separatista della Cina, grande come la Lombardia (22 milioni di abitanti contro il miliardo e 300 milioni della Cina).

Pechino ha immediatamente minacciato di far pagare cara agli americani questa provocatoria ingerenza negli affari cinesi, ed ha messo in atto la più grande esercitazione militare aerea e navale intorno a Taiwan che per 48 ore è rimasta isolata da ogni stato vicino.

Il gesto della Pelosi prontamente condannato anche dalla Russia è stato definito altamente irresponsabile dal New York Times perché l'America, già impegnata in Europa in una partita economico-politico-militare non può permettersi di aprire contemporaneamente un secondo fronte con un’altra grande potenza, in una situazione di asimmetria geografica e di aperto svantaggio giuridico.

La Cina ritenendo la "riunificazione" con Taiwan un processo irreversibile, potrebbe spingersi con spregiudicatezza a seguire l’esempio aggressivo della Russia verso l’Ucraina, invadendo l’isola, riconosciuta solo da 15 stati.

Mentre la Russia secondo lo Statuto dell’Onu aveva il dovere giuridico di rispettare la sovranità dell'Ucraina la cui integrità territoriale era garantita da un accordo bilaterale del 1994, la RPC, all’atto dello stabilimento dei rapporti diplomatici con gli Stati Uniti nel 1971, ottenne il riconoscimento del principio "di una sola Cina" con l’attribuzione del seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu al posto di Taiwan che fu defenestrata e mai più riammessa dall’Assemblea Generale che ha respinto i suoi ricorsi per 16 volte.

Torquato Cardilli

9 agosto 2022

2 commenti:

  1. La visione ristretta, particolareggiata e martellante, soprattutto dove i media main stream serpeggiano in ogni casa, è un sipario dietro cui si manifestano e maturano focolai in grado di minacciare seriamente la sicurezza mondiale.
    Sebbene i fatti accadano e chiunque potrebbe conoscerli e provare a collegarli per allargare lo scenario e cogliere tendenze, connessioni ed evoluzioni possibili, il Prêt-à-Porter è dilagato nell'informazione main stream che oramai è sempre più diretta alle "pance" che ai "cervelli".
    Ecco, allora, che potrebbe sembrare strano un articolo del genere dove l'Autore, invece di concentrarsi sulla mossa, fornisce non solo l'intera visione dello scacchiere ma anche dei suoi pezzi.
    E' un piacere leggerla Tommaso Cardilli e spero che questo possa favorire una virtuosa metamorfosi che da spettatori passivi porti a essere un po' più protagonisti.

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  2. Un quadro sintetico ma nello stesso tempo esaustivo dello scacchiere mondiale nel quale si giocano i destini del mondo. Non c'è da stare allegri di fronte ai tanti focolai pericolosissimi che quotidianamente minacciano l'equilibrio di pace tra le grandi nazioni. Purtroppo sono argomenti che toccano poco la massa pensante soverchiata da inutili dibattiti, spesso condotti da squallidi personaggi che si atteggiano con ridicola presunzione a statisti moderni. Io sono sempre stato un inguaribile ottimista e spero ancora che ci sia un ravvedimento dei potenti della terra per puntare ad affrontare le emergenze planetarie e che ci porti piano piano a guardare il futuro con un filo di speranza.

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