di Paolo Facchini - Teniamoci a mente un dato che poi ritroveremo come una costante nello sviluppo della mia analisi: l’Italia è stato il Paese che ha avuto la Controriforma senza avere avuto alcuna Riforma.
Noi tutti sappiamo che, a differenza delle grandi democrazie mondiali, non esiste una “rivoluzione italiana”; se però operiamo una riflessione più attenta, individuiamo nella storia d’Italia degli ultimi 200 anni alcuni movimenti rivoluzionari portatori di altrettanti momenti di rottura storica, di passaggio istituzionale o di avvicendamento traumatico di classe politica. Il Risorgimento, con tutte le sue contraddizioni, è senz'altro uno di questi, il Fascismo, la Resistenza e probabilmente lo stesso biennio 1992-1993 di Tangentopoli ne sono altri esempi.
Questi fenomeni sono accomunati da alcuni dati che sembrano ricorrenti e che finiscono per determinare la formazione e, soprattutto, l’evoluzione dei fenomeni stessi. In primo luogo sono spesso la reazione a fenomeni esterni al Paese, quando non direttamente provocati da “potenze più o meno amiche”. L’unità d’Italia fu fortemente favorita dagli Inglesi; Il Fascismo si configura, anche e soprattutto, come reazione al Bolscevismo; la Resistenza è il frutto della disfatta della Seconda Guerra Mondiale ed è fortemente condizionata dal profilarsi dei due blocchi; la stessa Tangentopoli è stata possibile solo in virtù del venir meno della divisione dei due blocchi stessi che ha prodotto il diminuito interesse americano per le vicende italiane (c’è chi parla anche di un fenomeno eterodiretto dall'esterno….).
Altro dato di riflessione è che, di solito, ispiratori e protagonisti di tali fenomeni, finiscono ben presto per avere un ruolo marginale negli sviluppi del processo rivoluzionario. Si pensi a Mazzini e Garibaldi, “utili idioti” al disegno espansionista e annessionista della corona sabauda; all'evoluzione dello stesso Fascismo da fenomeno rivoluzionario dei primi anni ’20 ben presto mutato in movimento conservatore e reazionario. La stessa Italia del dopoguerra ha immediatamente messo da parte i Parri, i Pertini, i Secchia per affidarsi alle solide a rassicuranti mani di De Gasperi, Togliatti e La Malfa.
Tangentopoli credo che molti di noi l’abbiano vissuta in prima persona e, pur probabilmente differendo il giudizio complessivo, credo che sugli esiti ci sia un sostanziale accordo.
Una grande spinta morale sfociata poi in indagini che hanno portato solo raramente a condanne definitive; la decapitazione di una classe politica arrivata al capolinea per produrne una decisamente di minore spessore culturale e di eguale se non peggiore moralità; un sistema dei partiti di massa di fatto spazzato via, sostituito da partiti vuoti e di plastica, dominati da leader più o meno capaci, spesso espressione della fazione vincente della vera e propria “lotta per bande” che si scatenava al proprio interno; da ultimo, cosa che ritengo ancor più grave, Tangentopoli ha, di fatto, prodotto una vera e propria supplenza del potere giudiziario che si è sentito legittimato e investito dell’autorità di dare risposte, là dove queste spettavano al potere legislativo ed esecutivo.
Questo è lo scenario che fotografa alcune costanti della storia d’Italia; passiamo ora a individuare premesse e soggetti di una possibile rivoluzione italiana auspicata nel suo stimolante intervento da Patrizio Laconi.
A livello metodologico, prima dell’individuazione del soggetto, occorre chiedersi se esistano le condizioni per dar vita a un fenomeno rivoluzionario. Il mondo del lavoro è ormai massimamente parcellizzato e presenta una gamma di figure professionali, tipologie contrattuali, differenze e interessi difficilmente comprimibili e sintetizzabili da un soggetto unitario. Più che su quello, concentrerei l’attenzione su una molteplicità di soggetti che si aggregano, anche solo per un determinato periodo di tempo, su tematiche particolari, su interessi emergenti, sulla difesa o sulla proposta di esigenze ben identificate. Questo è il contesto dei nostri anni, di una società che più che liquida definirei liquefatta, in cui il vicino di casa diventa di volta in volta alleato o nemico.
L’Italia attuale si specchia nella perdita della socialità, il riflesso della irreversibile crisi dei soggetti che la organizzavano e ne garantivano la tenuta quali partiti di massa e sindacati; è la nuova urbanistica della città che prevede lo svuotamento dei centri storici, a favore di “non luoghi” quali i nuovi quartieri ed i centri commerciali, cattedrali della religione iperconsumistica. È, di fatto, l’atomizzazione della società sognata da Margaret Thatcher, non a caso, insieme a Reagan, l’unico grande rivoluzionario degli ultimi decenni.
Se la mia analisi è corretta, temo che il soggetto politico realmente rivoluzionario non possa che essere l’uomo medio arrabbiato, che sente quotidianamente venir meno le piccole conquiste o il piccolo agio a cui era abituato e, non riuscendo a capire fenomeni che non riesce a controllare, si lancia in crociate contro migranti, meridionali, il Bilderberg, la finanza delle banche, l’Unione europea, gli Stati Uniti, gli Ebrei, il buonismo cattocomunista, Putin che manipola le elezioni americane (sic!); accomuna tutto in un’unica categoria di “nemico”.
È un soggetto rivoluzionario che, concordo con Laconi, ha fin troppa informazione, ha tutti gli strumenti per criticare il “pensiero unico” e finanche per distruggerlo. Ma è questo ciò che desidera? Oppure tutta la rabbia che cova non finirà per rinforzare e legittimare questo “pensiero unico”? Siamo sicuri che il rischio non sia quello di subire l’ennesima controriforma senza riforma, il solito Termidoro senza però alcuna presa della Bastiglia?
La tradizione italiana indica – per rimanere alle categorie storicizzate – che nei momenti cruciali, anche chi è animato da nobili e sincere intenzioni, favorisce nei fatti la facile “uscita a destra” invece che il faticoso percorso riformista. A Saverio Nitti si è preferito il massimalismo del biennio rosso, a Nenni fu contrapposto il Togliatti appiattito sull’URSS, e su fino a Craxi con Berlinguer e con il drammatico epilogo di Tangentopoli; Prodi disarcionato dal vanesio Bertinotti e qui mi fermo. Ognuna di queste dicotomie è stata poi risolta con una “svolta a destra” nella storia d’Italia, con un rafforzamento, di fatto, di quelle classi e di quegli interessi che si volevano colpire.
Nel contesto attuale di crisi mortale delle forme organizzative partitiche e sindacali, il rischio concreto è che i prossimi “soggetti rivoluzionari” possano essere quei furboni e imbonitori che sfruttano l’oggettivo smarrimento dell’italiano contemporaneo presentandosi come portatori di soluzioni facili, demagogiche e massimamente pericolose per i destini del Paese.
Paolo Facchini
17 Novembre 2017
Il capitalismo economico-industriale-finanziario,con la terza rivoluzione industriale, ha generato le condizione per la propria vittoria nazionale e mondiale contro tutte le forze che gli si opponevano, divenendo,così, padrone assoluto della situazione. Questo è lo stato attuale delle cose. Le possibilità di un cambiamento radicale stanno tutte nella implosione di questo Capitalismo Assoluto, dominante e disumanizzante. Le iniziative rivoluzionarie da porre in atto sono tutte quelle che si muovono nella direzione della implosione di questo sistema, nel nome di un Nuovo Umanesimo, quale utopia concreta e realizzante dei valori della persona umana e degli ideali di fratellanza,uguaglianza,giustizia e libertà.I soggetti che possono mettere in atto queste iniziative sono le persone libere e indipendenti,singolarmente ed in gruppi, non omologate e non omologabili al sistema.Il cambiamento delle cose presenti, non è dato da una spallata al sistema, qundi, ma è frutto di un irreversibile processo, coinvolgente e trainante di tutti i gruppi, i ceti e le classi sociali,scartati, esclusi, emarginati e assoggettati dal sistema. dominante.
RispondiEliminaFinalmente trovo qualcuno ancora in grado di sfuggire al pensiero dominante che fa parlare, anche nella protesta, solo di se stesso come possibile sistema alternativo.
EliminaTroppa carne sul fuoco, Paolo Facchini. Sono solo due i veri cambiamenti rivoluzionari ed iniziano con l'unità d'Italia voluta dal sabaudo Cavour, da Garibaldi e Mazzini. Essi hanno messo in atto ciò che mille anni prima molti anelavano, ma che nessuno staterello aveva avuto l'ardire di fare.
RispondiEliminaIl Fascismo, checché se ne dica, ha trasformato un coacervo di genti in una vera Nazione: ciò che il re è gli uomini politici di allora non avevano saputo fare; la megalomania di Mussolini, nel secondo decennio, ha vanificato il tutto. Per quanto riguarda la Resistenza ed i Fatti del '93 stendo un velo di compassione. Sono d'accordo su ciò che sta accadendo riguardo alla falsa Controriforma e mi auguro che i cittadini capiscano, poiché l'ineffabile Berlusca ed altri rappresentanti politici hanno il grande desiderio di farla apparire come tale, quando in effetti una Riforma non c'è mai stata. Il loro intento è quello di perpetrare le stesse nefandezze di prima, facendo in modo che tutti si genuflettino ai loro subdoli intenti di falsi cambiamenti. Ti ringrazio per l'opportunità datemi per questo sfogo mattutino.
Tutte queste rivoluzioni hanno un unica caratteristica non li hanno mai fatte gli italiani sono state tutte calate dall'alto e accettate dal popolo italiano. Dal 92 al 93 avviene la prima rivoluzione colorata con Silvio Berlusconi nei panni del Beppe Grillo Casaleggio stessa strategia stessi messaggi propagandistici ma in democrazia servono i voti quindi si fanno così le rivoluzioni. Adesso abbiamo in corso la seconda rivoluzione colorata stessa munnizza di prima. Cè solo meno coinvolgimento perché la gente non crede più alle panzane anche perché gli esempi che danno i rivoluzionari non eccellono. nella prima rivoluzione colorata si riusciva a portare al voto il 70% della gente il duo Berlusconi Prodi facevano il pieno.
RispondiEliminaAdesso siamo un po' da prima Repubblica in mancanza di coinvolgimento della massa votano coloro che hanno interessi in una forza politica e si sta creando aria da Penta partito contro il nuovo partito comunista uso il termine partito comunista in senso figurato perché è lo stesso Grillo a dichiarare che voleva il movimento come un nuovo partito comunista ossia all'opposizione. La strada tracciata sembra questa e le elezioni siciliane lo confermano.
Ottima analisi che fa riflettere sulla situazione italiana e su perché esista una classe politica di così basso spessore. Un Paese guidato da imbonitori senza scrupoli; in cui una una buona parte dei cittadini vive di fatalistico populismo. Abbiamo il dovere di impegnarci affinché si possa divulgare un pensiero costruttivo, che dia la sveglia all'italiano medio; attualmente impegnato, con esagerato odio e immotivato rancore, a combattere i più deboli, anziché indirizzare le energie contro i veri nemici della nostra nazione.
RispondiEliminaEsiste una “Rivoluzione Italiana”? Dipende dai punti di vista! Per controriforma si intende modificare o annullare una riforma precedente. Possiamo affermare che ci sono riforme pessime e che alcune controriforme più che migliorare peggiorano, o annullano, le situazioni esistenti. Per esempio riforma e controriforma del sistema pensionistico e del sistema sanitario. Alcuni parlano di migliorie, altri di peggioramenti ma nella realtà alcune categorie hanno visto regredire i diritti acquisiti. Non mi addentro nell’analisi delle rivoluzioni epiche. Dalla Resistenza che alcuni, condivisibile o no, definiscono una rivoluzione mancata è nata la Costituzione che afferma la libertà e la dignità dell’uomo, le libertà civili e politiche: è o non è una rivoluzione? Il 4 dicembre del 2016 aver impedito la rottamazione della Costituzione è stato un atto rivoluzionario esercitato con il voto. Uomini come i Parri, i Pertini, i Secchia non sono stati messi da parte ma hanno rappresentato una parte di popolo che ha contribuito al cambiamento. Il Capo di Stato Pertini ha dimostrato che lo spirito rivoluzionario è innato nell’individuo è rimane vivo nell’esercizio di qualsiasi ruolo. Uomini come De Gasperi, Togliatti e La Malfa prima e, dopo Moro, Berlinguer e tanti altri hanno cercato di tenere unito il Paese nel periodo della ricostruzione e del progresso. Dopo siamo scivolati nel baratro di Tangentopoli. La Magistratura, nei processi di risanamento morale, si è sostituita alla politica che, priva di orgoglio, non è stata capace di creare gli anticorpi per lottare ed emarginare il malaffare, crisi morale che persiste tutt’ora. Alla classe politica di prima ne è subentrata un’altra priva di spessore divisa su tutto, non è riuscita a trovare un accordo sul sistema elettorale. Mentre i politici inseguono le loro ambizioni delegittimando l’avversario e predicando l’odio, una parte consistente della società viene emarginata, in alcune realtà supera il 50% della popolazione. Per uscire da questa situazione, per non farla lunga ed evitare di ripetermi, a mio modesto parere, necessita un atto rivoluzionario: andare a votare in massa per evitare le manipolazioni del voto. L’assenteismo allontana la speranza del cambiamento e favorisce i governi delle minoranze che possono facilmente tutelare privilegi e interessi. L’esperienza del voto siciliano insegna. Intanto il potere finanziario consolida il suo predominio, a proposito, vedi commento di Salatore Mancuso. Per quanto tempo possiamo restare a guardare?!
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