Michele D’amico, responsabile per la Sicilia dei Beni Culturali del Cobas-Codir, ha partecipato, con un certo coraggio, a “l'Arena”.
In quella puntata del 19 marzo scorso si trattava lo spinoso argomento dei custodi dei beni culturali. Musei e siti culturali presidiati H24 da personale alle dipendenze della Regione. Già “le Iene” su Italia Uno, il 12 marzo, avevano fatto emergere alcune situazioni delicate e paradossali scatenando forti polemiche.
Questo articolo, scritto dall'autore dopo quell'incontro animato con Giletti, prende spunto dall'esame dei tanti commenti che i telespettatori hanno inviato nel corso della trasmissione. Di seguito il testo.
“Leggere i commenti fornisce l'occasione per conoscere le opinioni di uomini e donne che lavorano nel settore dei beni culturali ma anche di chi nulla ha a che vedere con questo ambito.
Commenti di uomini e donne che non conosco e che a loro volta non conoscono me. Che non hanno idea di cosa io faccia, come operi, da quanto tempo lavori. Commenti sfrontatamente durissimi, alcuni anche offensivi sul piano morale. Chi mi apostrofa “ladro buffone”, chi si meraviglia di come ancora nessuno mi abbia pestato, dal momento che lo meriterei davvero. Chi mi augura di crepare prima possibile, chi mi vorrebbe già morto, chi mi prende, addirittura, per mafioso. Insomma, un indicatore di come possa essere velocemente condizionata la pubblica opinione da una strumentale e scellerata conduzione di un programma televisivo che afferma il principio di "tutti contro tutti". Quando invece servirebbe approfondimento e reale confronto, anche aspre critiche purché costruttive.
Nel corso della trasmissione sono state messe a confronto organizzazioni lavorative diverse, del tipo pubblico/privato, confermando la tendenza più in voga dell'ultimo ventennio. Da una parte la demonizzazione del “pubblico”, dall'altra l’affermazione che il “pubblico”, per potere essere efficiente, debba diventare privato e pertanto anche la gestione dell'intero sistema dei beni culturali.
Sentiamo dire sempre più spesso che una gestione privata dei musei significherebbe più efficienza, promozione più efficace, occupazione, sviluppo e così via. Discorsi noti e condivisi da tutto l'arco politico, da destra a sinistra, e a poco serve mettere in guardia dalle illusioni, dalle ingenuità, dai pericoli. Un filosofo politico che visse tra il cinquecento e il seicento, Francesco Bacone, era solito sostenere che non si contrastano le idee dominanti quando la politica, i media e l'opinione pubblica hanno deciso di farle proprie.
In Europa, l’Olanda ha avviato il processo di privatizzazione dei propri musei già dalla fine degli anni ottanta. Da noi, quasi alla fine anni novanta, i teatri nazionali sono stati trasformati in fondazioni di diritto privato. Il decreto legislativo n. 368/1998, prevedeva che il Ministero ai Beni e alle Attività Culturali, ministro Veltroni, potesse costituire o partecipare ad associazioni, società o fondazioni e redigere accordi con soggetti ed enti pubblici e privati. Nel codice dei beni culturali del 2004, è prevista: "la gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata da parte delle amministrazioni cui i beni appartengono…".
L'ingresso dei privati nella gestione dei beni culturali potrebbe garantire una gestione caratterizzata da procedure più rapide e sarebbe un sistema efficace per superare le conseguenze dei continui assottigliamenti delle risorse dell'ultimo decennio. Una politica accettata supinamente dagli assessori ai Beni Culturali di turno, nonostante il già ridicolo ed infimo bilancio.
Chi scrive ritiene che i privati, nel meridione d'Italia e in particolare in Sicilia, non possano essere la cura adatta. I problemi che potrebbero sorgere in una fase di transizione di non poca durata rischierebbe uno scontro con la componente tecnico-scientifica interna per i possibili condizionamenti da parte dei finanziatori, fondazioni bancarie, ammesso che ce ne fossero. Oltre alle rappresentanze politiche locali o regionali, estremamente frammentate.
In Sicilia, non vi è dubbio mancano le grandi banche sul territorio. Esiste, invece, una classe politica regionale autoreferenziale, incapace di creare sinergie tra rappresentanze politiche locali e investitori locali. Un connubio sicuramente sfavorevole per lo stesso sistema dei beni culturali siciliano.
Un sistema che, da qualche anno, ha avviato invece un serio processo di riassetto delle strutture e di rinnovamento al proprio interno. È prevedibile che i frutti non tarderanno ad arrivare a patto che la politica smetta di tagliare fondi, perseguendo quanto fatto con una recentissima legge regionale per l’utilizzo del 30% dei proventi derivanti dalla vendita dei biglietti d'ingresso dei siti, da destinare all'incremento e alla valorizzazione del patrimonio culturale.
Gli attori politici attuali e coloro che a breve siederanno gli scranni del più antico parlamento esistente, dovrebbero fare tesoro dei temi principali che sono stati trattati al G7 di Firenze dei ministri della cultura di Italia, Francia, Regno Unito, Germania, Stati Uniti, Canada, Giappone, nonché rappresentanti e delegati dell'Unione Europea, del Consiglio d'Europa, dell'Unesco e delle principali istituzioni culturali internazionali.
La cultura come strumento di pace e di dialogo nell'attuale contesto di crisi del sistema geopolitico mondiale. L'importanza primaria della protezione e della tutela del patrimonio culturale mondiale dalle minacce del terrorismo, delle calamità naturali e del traffico illecito. La fruizione del patrimonio culturale anche tramite campagne di sensibilizzazione del pubblico. Le attività di formazione e di ricerca nelle istituzioni culturali allo scopo di preservare la memoria del passato per le future generazioni. La promozione della comunicazione in ambito culturale e la necessità di politiche finalizzate ad avvicinare i cittadini al mondo dell’arte e della cultura, sono i temi della dichiarazione finale del G7 di Firenze del 30 marzo 2017”.
Michele D’Amico
10 Aprile 2017
Michele D’Amico è uno di quei sindacalisti veri. Che conosce il mestiere, lavora, e sa benissimo come funziona il sistema di cui si occupa a difesa dei suoi colleghi. E lo fa con convinzione e competenza. Ma non si ferma alla difesa d’ufficio, a volte, ma è comprensibile, anche oltre il dovuto. Cerca di ragionare e lo fa indicando soluzioni per un settore che è un’enorme risorsa per l’Italia e la Sicilia ancor di più. Ovviamente il compito di cambiare registro tocca ad altri, alla politica e ai governi. E dopo l’indecenza di questi ultimi anni, la vergognosa stagione del rivoluzionario Crocetta del PD, non possiamo che augurarci di meglio. Non è difficile, e i siciliani, come sempre, hanno nelle loro mani il destino delle future generazioni.
RispondiEliminaMichele D'Amico: da una parte demonizzazione del “pubblico”, dall'altra l’affermazione che il “pubblico”, per potere essere efficiente, debba diventare privato e pertanto anche la gestione dell'intero sistema dei beni culturali." La differenza tra pubblico e privato? Per lo stesso lavoro dove il pubblico impiega 3 persono il privato ne impiega 1 con più efficenza. Perchè? L'assenteismo nel pubblico è molto alta e anche il menefreghismo è molto più alto. L'impiegato pubblico crede di essere impiegato fino al momento del pensionamento con scarsissime probabilità di essere licenziato, anche se il suo rendimento è molto al disotto del dovuto.
RispondiEliminaLa triste realtà ci impone a dubitare di tutti; ci impone a dubitare del Pubblico e del Privato. Tutti i settori della vita pubblica sono impregnati di lassismo e di disonestà ed il Privato fa "solo" i propri sporchi interessi trascurando quasi sempre l'apporto culturale e morale che ne possa derivare. Allora è inutile imbastire discussioni e programmare simposi su un tema che sta a cuore a tutto il mondo, all'Italia e soprattutto alla Sicilia. Essa potrebbe ricavare benefici enormi dai Beni archeologici ed artistici che possiede e potrebbe dare un apporto non indifferente al lavoro, al turismo ed alla sua economia. La Cultura, se trattata bene, può elargire doni sostanziosi, specialmente ad una Nazione, come l'Italia, che detiene il 70% del beni artistici ed archeologici di tutto il mondo. Noi non ce li meritiamo perché non li sappiamo apprezzare; e non li sappiamo apprezzare perché non sappiamo custodirli ed è organizzare in modo decente. Dobbiamo dare subito una sferzata all'onda barbarica e corruttiva, che già da tempo si è impadronita della nostra società, ad opera soprattutto del mondo politico, in possesso di quella responsabilità che non sa mettere a frutto perché esso stesso corrotto ed incapace. La severità delle leggi e delle pene è dunque il solito motivo ricorrente: se non riusciamo a capire ciò, è inutile discutere.
RispondiEliminaPurtroppo, la severità delle leggi non è sufficiente, se non è affiancata dalla coscienza civile e da oneste capacità imprenditoriali.
RispondiEliminaConsiderato il valore inestimabile delle ricchezze artistiche concentrate sul suolo Italiano e siciliano, in particolare, è innegabile che essa non venga percepita come risorsa da parte dei rappresentanti politici, sindacali e dalla società civile.
RispondiEliminaAddossare la colpa ai soli politici mi sembra riduttivo e assolutorio per tutti gli altri attori di questa sciagurata gestione di un patrimonio unico al mondo.
Nell'articolo non si fa menzione delle responsabilità dei sindacati e di quei lavoratori che, arroccandosi dietro mansionari e competenze, rendono difficile la manutenzione ordinaria e la gestione dei luoghi d'arte.
I budget si formano non solo con i contributi pubblici ma anche dai proventi che vengono dai visitatori che vanno invogliati a frequentare i luoghi di interesse storico e artistico non solo con la pubblicità ma anche con un'accoglienza adeguata in termini di fruizione.
Ad onor del vero, malgrado una pessima gestione passato dei gioielli che la Sicilia,offre, malgrado un'ignoranza capillare alla base di chi doveva "proteggere" i beni..ma parenti ed amici beh..beni culturali era ed è un bel posto...ma devo dire che la cosa più grave è l'assoluto disinteresse da parte dei cittadini, in particolare i palermitani...pubblico o privato? si potrebbe tentare una divisione, cos' magari il palazzo Abatellis è visibilie anche di domenica..non mi sento di demonizzare nessuno...ne tantomeno di dare ricette, la volontà di "proteggere" c'è secondo me, ma bisogna essere molto severi con tutti gli incolti raccomandati...P.S. Ho visto appunto l'ex Tribunale dell'Inquisizione, brava guida ci ha accompagnati, ottimo lavoro dei restauratori, peccato che chi entrava appena sapeva che si pagava per la visita guidata usciva...peccato si....https://www.facebook.com/riccardaballa/posts/397944823922435
RispondiEliminaPoi, il palermitano che non sa manco lontanamente cosa offre Palermo, politici inclusi, è ovvio che insulta, è l'unica cosa che sa fare in realtà
RispondiEliminaNon ho mai condiviso i parametri che contrappongono il pubblico al privato, sacche di inefficienza sono presenti in entrambi i settori. Se nel pubblico si registrano episodi di lassismo, nel privato si registrano episodi di abusi e truffe basta pensare ad alcuni gestori dei servizi gas e luce con i quali difficilmente, attraverso i call center, si può risalire al responsabile di un qualsiasi procedimento. Con questo preambolo non intendo assolvere il settore pubblico che conosco bene per averci lavorato per oltre 40 anni. In questo articolo, il terzo sull'argomento di Michele D'Amico, già dal titolo "Beni Culturali in Sicilia. Argomento scomodo..." emergono le difficoltà per il salto di qualità di questo importante e vitale settore. Valorizzare e tutelare il patrimonio culturale è compito di tutti: amministrazioni pubbliche e cittadini, ognuno con le rispettive competenze e doveri. La Sicilia detiene oltre un quarto del patrimonio culturale italiano, eppure i visitatori non raggiungono la media del 10% e, gli incassi sono inferiori all'11% degli introiti totali. Mancano gli investimenti e si registrano sprechi come i venti custodi di un museo che in un anno ha staccato meno di 400 biglietti mentre in altri siti si comprime il servizio per carenza degli organici. E' indispensabile rivedere la gestione dell'intero sistema dei beni culturali. I finanziamenti non devono mancare e, quelli pubblici possono essere integrati da quelli privati a titolo di donazioni. Dalla fruizione dei servizi culturali deve essere bandito il concetto del profitto, il ricavato della vendita dei biglietti deve servire per incrementare e valorizzare il patrimonio. I finanziamenti senza una corretta gestione producono sprechi e inefficienza. In un settore pubblico il cambiamento richiede la collaborazione della Dirigenza e delle Organizzazioni Sindacali, il tutto finalizzato alla massima efficienza. Possiamo chiedere a Michele D'Amico fino a che punto il suo Sindacato è disposto al salto di qualità. Per qualità si intendono: il superamento delle mansioni rigide, la flessibilità degli orari di servizio, la mobilità temporanea per coprire carenze organiche e per ultimo, non meno importante, isolare i lavativi che con il loro comportamento disonorano la stragrande maggioranza dei lavoratori che fanno il loro dovere. Rendere attraenti e fruibili i siti culturali, per la Sicilia, potrebbe rappresentare il volano per il turismo che porterebbe benessere all'isola. Il convegno fiorentino del G7 dei ministri, con la dichiarazione finale ha affermato che la cultura è uno strumento di dialogo fra i popoli. A questa solenne dichiarazione dovrebbero seguire i fatti: stanziamenti finanziari della Comunità Europea.
RispondiEliminaDifficile pensare , anzi, sognare una cooperazione senza scopo di lucro in un contesto neoliberista senza ne etica né amore per la cultura ma di venerazione para religiosa del soldo facile e senza lavoro reale. Non è un problema solo siciliano. ......... È una deriva mondiale.
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