di Luigi Benedetti - Ho conosciuto Totò Cuffaro ben prima di incontrarlo fisicamente; sapevo sarebbe stato così, come mi ha accolto: buono, umile e dolce.
Ne ero certo perché lo avevo conosciuto a fondo leggendo i suoi libri. Avevo conosciuto lui ma anche i suoi figli, sua moglie e i tanti compagni di viaggio di Rebibbia. Mi apre la porta a piedi nudi; è appena tornato dalla corsa mattutina. Mi bacia e, dopo i miei saluti, mi chiede di dargli del tu: “per piacere non darmi del lei, chiamami Totò”.
Devo sinceramente ammettere a me stesso, ancora incredulo, e a chi leggerà queste mie parole, che un tale percorso d’anima, un tale processo interiore, scaturito dall'affrontare il durissimo e bellissimo compito di leggere le centinaia di pagine che egli ha prodotto, è stato davvero sorprendente. Si piange, tanto; o almeno io ho pianto. Non avrei mai pensato che, un giorno, Salvatore Cuffaro avrebbe potuto farmi piangere e riflettere su me stesso, sulla mia famiglia, sulla vita. Nei libri che ha scritto lui racconta del carcere, racconta la sua storia; ma, allo stesso tempo, parla di te. In ogni suo racconto c’è un pezzo della vita di tutti noi. In ogni sua emozione, in ogni dettaglio, c’è il dolore e la gioia di ogni uomo: prigioniero del carcere o, in libertà, delle proprie paure e sofferenze. Sono stato capace, grazie a lui, di far maturare nuovi pensieri che mai avevano regnato dentro di me; ad esempio verso gli uomini che sbagliano, anche gravemente. Questo è un cambiamento importante ed è un regalo di cui gli sono grato: sono parole private che io gli dedico in pubblico.
Lunghe e appassionanti, ma tante e forse troppe, le domande che avevo preparato. Altrettante quelle che sono nate durante la mattinata passata insieme. Ho preso, per questo, la decisione di non scrivere adesso le tante cose che mi ha raccontato circa la politica, il processo e le vicende precedenti la sua condanna; ci rivedremo per una seconda intervista. Quella che segue, quindi, è solo la prima parte del lungo viaggio che ho avuto il piacere di fare. Le storie del carcere, le emozioni, le riflessioni sulla società, sulla fede, sull’amore. Chiedo perdono al lettore ma non ho voluto e potuto scrivere meno. E, nonostante le tante parole che leggerete se avrete voglia di arrivare fino in fondo, confesso che avrei voluto scrivere ancora, senza mai una fine, i mille pensieri che lui mi ha affidato e non troverete in questa intervista; spero riusciate a scorgerli, tra le righe, e farli vostri comunque.
Al termine di questo lungo e doloroso viaggio, la tua stella cometa, la Sicilia, ti ha accolto con un calore straordinario. Qui, che tu abbia favorito la mafia, sembra non lo credano in molti. Che sensazioni provi? Nei tuoi libri esterni le angosce circa il dover convivere con questo fardello. Oggi sei più sereno?
Confesso che l’affetto della gente è stato straordinariamente importante. Già durante il carcere ricevere 15.000 lettere, più quelle che non mi sono state recapitate, mi aveva dato la sensazione che quella sentenza, in qualche modo, lasciava tanti dubbi nel cuore delle persone. Uscendo ho avuto la conferma; ed è bello! Che ci fosse tanta gente ad i miei incontri quando ero presidente della regione era scontato; ricoprendo un incarico potevo rispondere ai loro bisogni. Ma, adesso, ho capito di essere circondato da affetto genuino e sincero perché io non sono più in condizione di dare niente. Anche chi ha sempre pensato che le persone mi stessero accanto solo per interesse deve ammettere che non è così. Mi conforta ma non alleggerisce il fardello drammatico. Un macigno, dentro il cervello, che non si muove.
I dubbi della gente: una verità diversa dalla verità giudiziaria?
Io ho vissuto questi anni di carcere con l’idea, la speranza, che il verso della mia storia non potesse essere quello che avevano scritto le sentenze. Che non poteva rimanere solo fango della mia storia umana e politica. Uscito e travolto dall’affetto della gente ho capito che il verso della mia storia, per le persone, non è quello scritto nelle sentenze ma è quello che io leggo nei loro occhi e mi regalano coi loro sorrisi e le loro carezze. In carcere mi sono laureato in giurisprudenza e ho pensato alla possibilità di una revisione del processo. Ho fatto tanti errori ma, nella mia coscienza, so di non aver mai voluto favorire la mafia. C’è una sentenza e le sentenze si rispettano. Rispettarle non è solo un dovere ma anche un diritto. Non è mia l’idea ma di Socrate. Socrate rinunciò a vivere pur di avere il diritto di rispettare la giustizia. Nel mio caso non vi è stata pena di morte materiale bensì civile; però questo diritto di rispettare la giustizia per me è importante; perché i diritti si vogliono ma i doveri si assolvono.
Leggendo i tuoi libri si ha modo di conoscerti, parlarti, addentrarsi nel tuo animo e cogliere sfumature che solo la lettura delle tue emozioni può dare. Arrivano nitidi odori e rumori, sorrisi e lacrime. La scrittura o la lettura, come la musica, sono gli strumenti più straordinari che l’uomo possieda. Tu dici che scrivere ti ha fatto vivere! Puoi raccontarmi queste emozioni?
Ti ringrazio perché mi hai detto una cosa bellissima! Ti confesso che scrivere mi ha aiutato a vivere perché pensavo che, nonostante fossi chiuso in una cella, le cose che scrivevo di giorno e di notte, sul letto, sarebbero arrivate al cuore di qualcuno. La sensazione che quei pensieri, messi su carta, non rimanessero con me ma potessero raggiungere i sentimenti delle persone mi ha aiutato a vivere. Pur essendo in carcere ho liberato i miei pensieri raggiungendo le persone che si volevano far raggiungere. I libri hanno dentro i sentimenti di chi li scrive e hanno la missione di consegnarli a qualcuno. È compito di chi li legge saper interpretare e vivere le emozioni di quei sentimenti. I sentimenti che io ho affidato ai miei libri, che hanno suscitato emozioni, hanno fatto vivere i libri e hanno fatto vivere me. Ma, tutto, dipende dalla sensibilità di chi legge; da chi ha il cuore, la testa, la possibilità di cogliere e far vivere i sentimenti custoditi nel libro. Ed io sono contento perché dalla domanda che mi hai fatto vuol dire che tu hai fatto vivere i miei sentimenti.
Tra le tante emozioni stupende che ho letto certamente vi sono quelle legate all’amore della tua famiglia. “Il bisogno di amore in carcere è urgenza assoluta, è necessità, è conferma unica della speranza, è il luogo del sogno e del desiderio del ritorno alla vita del mondo”. E, ancora: “L’amore è un sentimento e senza sentimenti, in carcere, non mancano ragioni per disperarsi e forse uccidersi”. Puoi raccontarmi come vivevano la detenzione i tuoi compagni di viaggio privi dell’amore di una famiglia? Quanto può cambiare la storia di una detenzione e il destino uomo senza questo scoglio?
Ho raccontato quanto sia stata importante la mia famiglia proprio per far capire quanto questo valore sia fondamentale circa la speranza e la fiducia nella vita. Talmente importante che, senza, è difficile superare il carcere. Questo si supera se hai la forza fisica e se hai motivi per superarlo: la famiglia è un motivo fondamentale! Ho conosciuto persone che non avevano queste motivazioni e hanno vissuto il carcere con grande disperazione; alcuni non sono riusciti a superarlo. Se non hai un appiglio e una speranza è difficile superare il carcere. Nel mio braccio ho assistito a sei suicidi in cinque anni. I nostri compagni senza una famiglia ci vedevano attraversare il corridoio per andare al colloquio con i nostri parenti e, dalle finestrelle, come si fa in carcere, ci auguravano “buon colloquio”. E sapevano che nessuno, mai, sarebbe andato a trovare loro. È una cosa drammatica e il mio pensiero è a loro. Ai detenuti che non hanno nessuno o, peggio, quelli che hanno una famiglia ma vengono rifiutati e dimenticati. Il carcere così diventa disperazione e superarlo è un miracolo.
Sembra incredibile ma il carcere, per alcuni, può diventare una rassicurante casa rispetto a un mondo reale che non si conosce o è troppo lontano nei ricordi. È la storia delle lunghe detenzioni dove quelle sbarre diventano condizione esistenziale e non momentanea. Si può avere paura della libertà?
Ti racconto la storia di Luciano. Ero al secondo anno di carcere e questo detenuto aveva scontato tutta la sua detenzione. Aveva fatto quasi 27 anni ma ha avuto il terrore di tornare in libertà. Il carcere era diventato la sua vita e l’idea che dovesse tornare fuori, senza famiglia, senza amici e affetti, solo, gli ha ottenebrato la mente. Luciano ci diceva: “Adesso che ho la libertà cosa ne debbo fare”? Non ha resistito a quelle paure e si è suicidato quattro mesi prima della fine della pena! Lui aveva costruito la sua idea di libertà dentro al carcere. I piccoli gesti quotidiani che ci fanno vivere lui li legava al carcere; aveva paura di perdere quello che aveva. Parlava con tutti, ci dava i libri perché lui aveva il compito di recuperarli dalla biblioteca centrale. La sua famiglia eravamo noi e quelle piccole cose che condivano le sue giornate gli hanno fatto credere che uscendo non avrebbe riacquistato la libertà ma, al contrario, la avrebbe perduta.
Sembra la storia del vecchio Brooks del film “Le ali della libertà”. Il vecchio che gestiva la biblioteca e portava i libri, con il carretto, verso le celle. Si suicidò una volta fuori.
Ricordo quel bellissimo film. Ma in quel caso la forza di uscire e tentare di andare incontro alla libertà lui la aveva avuta; il mio amico Luciano è rimasto terrorizzato solo all’idea di uscire e di perdere la sua libertà. Non ce l’ha fatta! Nel film Brooks aveva paura ma andò incontro alla libertà anche se, una volta fuori, ne trovò una che non gli apparteneva. Luciano ha avuto il terrore di perdere il carcere, che era la sua libertà, la sua famiglia, tutto quello che aveva. E non ha avuto la forza.
Può un uomo vivere davvero senza sapere cosa sia la libertà? Che cosa è, oggi, per Salvatore Cuffaro, la libertà?
Oggi per me ha un significato profondissimo. Non è soltanto respirare in senso materiale ma cogliere il respiro lungo della vita, in senso spirituale. Questo lo cogli la mattina svegliandoti e baciando tua figlia che sta ancora dormendo; lo cogli dormendo nello stesso letto con tua moglie e preparando il caffè. Queste cose semplici sono l’essenza della vita, la libertà più piena. La libertà è poter avere un libro quando lo desideri senza dover aspettare sei mesi dopo averlo richiesto. La libertà è poter baciare una persona senza doverlo fare attraverso le sbarre, come feci con Pannella quando venne a trovarmi. La libertà è il mosaico di tutte queste cose piccole e straordinarie che hanno un significato semplice e profondo.
“In qualunque genere di vita non si vive senza queste tre propensioni: credere, sperare e amare”. Sono parole di Monsignor Fisichella che tu riporti a cornice di una lunga e importante argomentazione circa la fede; unico scoglio per non affogare se la solitudine è nostra compagna. Quale viaggio spirituale ha compiuto il detenuto Salvatore Cuffaro? Quali scoperte, circa Dio e la sua importanza, ha potuto vivere in conseguenza alla suo condizione?
Il carcere non è stata una esperienza negativa; è stata una esperienza brutta che, però, mi ha lasciato delle positività. Una di queste riguarda certamente la fede. Ero già molto credente: vengo da una famiglia cattolica e ho frequentato i salesiani. Ho fatto pellegrinaggi in tutti i luoghi di culto ed anche volontariato con Madre Teresa. Da presidente mi attirai le antipatie dei salotti quando affidai la Sicilia alla Madonna e, te lo dico in anteprima, tra poco verrà inaugurato un cammino che ho ideato.
Va da Santo Stefano a Palermo: il cammino di Santa Rosalia. La fede, quindi, è sempre stata presente nella mia vita ma in carcere ho incontrato il suo volto umano oltre che divino. Il carcere mi ha insegnato a ritrovare la mia anima e parlare con me stesso ma, soprattutto, mi ha fatto conoscere il Cristo uomo. Io ho avuto la sensazione, ogni giorno di più, che il Cristo crocifisso scendeva dalla croce per aiutarmi a portare la mia. Lui diventava cireneo e ho incontrato l’aspetto umano della fede. Il Cristo umano che, anche se soffre e sanguina, ti prende per mano, dorme con te, passeggia con te, gioisce con te, vive con te. L’aver scoperto questa umanità del Cristo, diversamente da quella idea solo divina che avevo sempre avuto, è stata una scoperta straordinaria. E non avrei mai potuto farla senza l’esperienza e il dolore del carcere. Un amico detenuto, credente a modo suo, mi disse una cosa che mi impressionò: “troverai davvero la tua fede quando sentirai il bisogno di ringraziare il tuo Dio anche per questi cinque anni di vita privata della libertà”.
Come scrisse Gibran: “quanto più a fondo ci scava il dolore, tanta più gioia possiamo contenere”.
Adoro Gibran ma non conoscevo questa frase: sono pronto a testimoniarlo!
Abbiamo parlato di fede e famiglia. Eppure, per questi fari dell’uomo, quello che viviamo è un tempo apocalittico. Quali sono le riflessioni del politico Salvatore Cuffaro circa tutto questo?
Mi voglio concentrare sulla famiglia perché credo che questa sia il soggetto politico in assoluto più a rischio. Parlo come concetto laico e religioso insieme. È la cellula primaria della società e se la famiglia non funziona non funziona anche la società. Oggi la famiglia è aggredita nei suoi valori più importanti, a cominciare dalle origini, dalla sua costituzione. Pensare che ci possa essere una famiglia che si costituisca diversamente da quello che è l’ordine naturale oggi è descritto come un garantire dei diritti piuttosto che stravolgerli. Quello che non riesco a capire è che, ad esempio, le persone che dicono sia giusto costruire figli in provetta sono le stesse che si scandalizzano, poi, quando si fanno manipolazioni in agricoltura. È una cosa allucinante! Queste persone fanno battaglie e condannano la manipolazione genetica sul mais, ma se si tratta di bambini diventa un diritto. È assurdo considerare un diritto il fatto che si possa fare un bambino affittando un utero e non si tenga conto del diritto naturale del bambino di avere due genitori. È egoismo ma viene camuffato da salvaguardia di diritti. Purtroppo, circa questo, abbiamo poche difese. Se guardiamo quello che sta succedendo nel mondo sono obbiettivamente angosciato. Quando si inizierà a stravolgere l’ordine naturale non ci saranno, sempre più, limiti; e non sapremo dove arriveremo.
Massimo fini, in un suo articolo, l’ha chiamata deriva illuministica. Tutto, oggi, è un diritto; anche calpestare i diritti degli altri.
Bellissima definizione. Appunto gli illuministi avevano un punto di riferimento che era la ragione. E su questa costruivano il loro pensiero circa l’uomo e i diritti. Qui non c’è più la ragione. È una deriva che sta facendo emergere gli istinti innaturali! Nel mio prossimo libro, “La figlia delle monache”, racconterò una storia un po’ vera e un po’ fantasiosa; e affronterò questo tema.
Questa società priva di riferimenti spirituali e morali, in cui conta solo il denaro, porta l’uomo a reagire; spesso sbagliando. Tu scrivi: “chi delinque è schiavo della passione, dei costumi di una società che quanto più si realizza in senso economico, tanto più esclude … oggi si uccide perché, paradossalmente, con tale atto si afferma la propria esistenza”. Sono parole forti ma che portano a riflessioni profonde circa la misericordia verso chi commette errori.
Tu hai ricordato una mia frase molto importante e cioè che si uccide per affermare la propria esistenza. Come fa la mafia per affermare il suo potere, la sua esistenza. Ma questo estremo può appartenere anche a noi. Il vicino di casa che lo fa con un suo dirimpettaio o, nella vita di ogni giorno, il professionista più bravo che vuole schiacciare quello meno bravo per affermare la sua superiorità. E nei massimi sistemi, ad esempio, se una economia forte ne uccide una debole! Questa è la realtà di una società che esclude e gli esclusi reagiscono per disperazione.
Viviamo immersi in un sistema culturale che vede la prigione come vendetta. Forse, però, la vendetta non è giustizia. Ho letto della tua convinzione che il carcere a vita vada abolito e anche l’augurio che, un giorno, la nostra civiltà riesca ad abolire il carcere. Come si può coniugare tutto questo con i sentimenti di chi ha subito un crimine, magari il peggiore?
Un conto sono i sentimenti delle persone che hanno subito un crimine e un conto è lo Stato. Le famiglie delle vittime hanno il giusto desiderio che il reo paghi e possiamo certo giustificare e capire un sentimento di vendetta; ma lo Stato è un’altra cosa! Lo stato è il padre di tutti; della vittima ma anche del reo. E il padre ha il dovere, soprattutto nei confronti dei figli che hanno sbagliato, di non essere vendicativo: facile ricordare la parabola del figliol prodigo. Quel padre poneva le sue attenzioni sul figlio che aveva sbagliato perché aveva più bisogno e lo Stato dovrebbe fare lo stesso. In gran parte dei casi, invece, quello vendicativo è proprio lo Stato perché impone, con le sue norme assurde, pene non rieducative ma punitive e vendicative.
Leggendo i tuoi libri ho fatto un viaggio tetro e illuminante dentro le carceri. Ho imparato che, a causa delle condizioni di detenzione, le persone, prima del ritorno in società, possono cambiare in peggio o ancora diventare delle bestie.
È lo Stato che, con cattiveria, impedisce a un padre che ha sbagliato ed è in carcere di parlare al telefono con i suoi figli. Perché concedere a un padre solo due telefonate al mese? È lo Stato che ti fa vedere i tuoi figli attraverso una lastra di vetro blindato senza poterli toccare o accarezzare. Perché? Questo non è uno Stato che sta rieducando quel detenuto ma lo sta facendo diventare una bestia. Egli, quando uscirà, sarà incattivito. Nella cella accanto la mia c’era un ragazzino di 19 anni che, come primo reato della sua vita, era stato condannato a cinque anni per rapina a mano armata. L’arma era uno spray al peperoncino! Cinque anni è una follia! Questo ragazzo, quando uscirà dal carcere, la rapina la farà con la pistola. Uno Stato giusto rieduca un ragazzo di 19 anni che ha fatto un reato lieve facendogli scontare la pena lavorando. Questo è solo un esempio; ma io immagino che il carcere vada abolito per molti reati. Può, certo, rimanere per quelli più gravi ma ci sono tanti detenuti che potrebbero scontare la pena in modo costruttivo. Utopicamente spero che un giorno il carcere non esista più. L’utopia è una cosa che non si può raggiungere ma serve. Perché ti fa camminare verso una direzione.
Queste indegne condizioni di vita nelle carceri, però, hanno la conseguenza positiva di sviluppare un legame tra i detenuti ancor più forte; aumentano la solidarietà e, da questo, nascono piccole grandi gioie. Quanto è stato importante renderti utile per i tuoi compagni di viaggio e come loro hanno aiutato te?
In carcere ci si mette a disposizione e ognuno offre quello che ha. Io ero medico e ho studiato giurisprudenza. Ho scritto richieste di permessi per altri detenuti o anche le loro lettere d’amore. Ho aiutato alcuni a fare i compiti perché stavano facendo le scuole durante la detenzione; ho fatto quello che potevo. Io ho ricevuto delle lezioni da persone umilissime. Amici che hanno diviso con me una foglia di basilico. Ci sono state persone che nei momenti più drammatici della mia vicenda, come quando mi è stato impedito di vedere mio padre prima della sua morte, mi hanno rincuorato con sorrisi e amore. Piccole cose, che sembrano non importanti. Ad esempio, dopo i primi sei mesi di carcere non mi venivano più i pantaloni che cadevano. Un detenuto mi regalò la sua cintura elastica, l’unico tipo che si può avere in carcere perché non ci si può impiccare. La porto ancora addosso! Lui non aveva neanche un euro per comprare il latte ma mi regalò la cintura. Poi scoprii che lui strinse i suoi pantaloni con un laccio di fortuna. Oppure c’era un ergastolano che mi preparava un ciambellone ogni volta che venivano a trovarmi i miei figli. È quella umanità che non chiede e pretende ma dà. Sono cose che mi porterò dentro per tutta la vita.
“La Madre e la nenia sono sempre con me, mi precedono nel difficile cammino, mi accompagnano nel giorno, parlano al mio cuore. Nessuno, in carcere, resta mai quello che è stato, e dopo è quello che il carcere lo ha fatto diventare, e lo resta per sempre”. Chi è, oggi, Salvatore Cuffaro?
Il carcere è un posto che ti toglie tutto. Che vorrebbe toglierti tutto. Ti spezza il fiato e ti toglie il respiro lungo della vita. Ma non riesce a toglierti l’amore delle persone che ti vogliono bene e non riesce ad impedirti, soprattutto, di volere bene e di amare. In questo senso il carcere ti cambia, perché la tua capacità di voler bene, in carcere, si implementa e diventa più forte. Ogni piccola cosa diventa una grande cosa, in carcere. Questo mi ha insegnato a dare il giusto valore alle cose e ha riordinato la gerarchia dei valori della mia vita. Che la famiglia fosse importante l’ho sempre saputo ma, nel passato, ho spesso pensato che una inaugurazione fosse più importante di arrivare in orario alla cresima di un figlio; che fosse essenziale partecipare a una cena coi sindaci invece che andare a cena con mia moglie e i miei figli il giorno del loro compleanno; che non fosse importante vedere mio padre, per settimane, perché ero impegnato in estenuati riunioni. Ecco, il carcere ha riordinato la gerarchia dei miei valori e questa cosa è stata un cambiamento profondissimo. Ho pagato talmente tanto per i miei errori che non rinuncerò più a certe cose importanti.
Cosa vorresti dire a chi leggerà questa intervista?
Dico ai lettori che a me, questa cosa, questo cambiamento, è successa perché la vita mi ha presentato il conto e sono stato obbligato a farlo dagli eventi. Io vorrei mandare, a chi leggerà la tua intervista, il messaggio che non si deve aspettare che sia la vita a obbligarci a riordinare le nostre priorità ma che bisogna farlo subito. E questo permette di non pagare, un giorno, un conto salatissimo fatto di rimpianti.
17 Aprile 2016
P.S. Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa densa intervista a Totò Cuffaro realizzata dopo qualche mese dall'uscita definitiva dal carcere. Una conversazione sincera, profonda, senza riserve. Un viaggio nell'anima di un uomo temprato da un’esperienza durissima e rimasto tale.
Luigi Benedetti, 33 anni, palermitano di nascita, dopo avere fatto studi tecnici e ingegneristici, ha sin da piccolo sviluppato una passione particolare per la storia. Ama scrivere; del passato ma anche di politica e attualità. Ha vinto premi letterari con tema “il mare”, l’altra sua grande passione e ragione di vita. Cresciuto in una casa vicina alla riva, naturalmente si avvicina agli sport acquatici. Subacqueo professionista ha raggiunto il sogno di coniugare mare e cultura storica lavorando nel settore dei Beni Culturali. Ha partecipato a diversi scavi archeologici subacquei in collaborazione con la Soprintendenza del Mare. Velista e skipper a completare una passione soprattutto per i rapporti umani e l’amicizia. Nel 2014 partecipa alla fondazione della testata giornalistica on-line Eleggo.info dove scrive assiduamente.
Appassionato di Politica e attento osservatore segue da tempo anche il nostro blog. Benvenuto su PoliticaPrima e buon lavoro.
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Indubbiamente interessante quel pentimento, coglie impreparati apprendere che semmai non ci fosse stata la pena, probabilmente non ci sarebbe nemmeno il pentimento. E' allora che mi devo convincere che sanzionare e punire non e' inutile, che quel carcere per quanto triste e dannoso puo' essere utile a l recupero delle buone anime. Mi sconvolge e m'intriga questa persona, ina professionalita ed una cultura che gli consente di farsi riconoscere ed apprezzare. Ma chi non e' dotato come lui forse ha una sola scelta'....?La disperazione di chi non sa' trasmettere i propri sentimenti e' un'ostacolo euna condanna. Mi viene da commentare ....:viva la cultura ed abbasso l'ignoranza....................
RispondiEliminaQuand'è che leggeremo un’intervista capace di porre domande che mettono in difficoltà gli intervistati (non è riferito a Cuffaro ma in generale), magari facendo emergere aspetti inediti, nuovi, poco raccontati. Credo che i lettori sarebbero più interessati e maggiormente coinvolti. L’intervista non deve essere un modo per assecondare o per compiacere l’intervistato. Soprattutto quando l’intervistato è un personaggio come Cuffaro in grado di affrontare le domande più insidiose. Se l’obiettivo è questo non c’è alcun bisogno del giornalista, basterebbe pubblicare un’articolo dell’interessato. Questo racconto riprende passo passo tutto ciò che già sapevamo del Cuffaro "fine pena" e che lui stesso va raccontando in ogni occasione pubblica. Peccato, un’occasione sprecata.
RispondiEliminaPerchè non glie la fai tu n'intervista? Saremo tutto occhi e orecchi e vediamo cosa ne potrebbe uscire fuori.
EliminaPer un lettore come te sarebbe lavoro sprecato. Se ti piacciono quelle interviste vuol dire che sei lo spettatore classico di Vespa e dei giornalisti ruffiani che lisciano il pelo agli intervistati. Ognuno ha i suoi
Eliminagusti.
Intanto tu non mi conosci quindi queste tue parole sono delle sciocchezze a prescindere. Poi, ripeto, perché non ci fai conoscere le domande "giuste" che tu avresti rivolto a Cuffaro? In quanto a Vespa, non lo vedo mai, tu piuttosto mostri di conoscerlo bene.
EliminaNon ho bisogno di conoscerti, è sufficiente leggere il tono sarcastico con cui hai replicato il mio commento per capire che preferisci le interviste buoniste e reverenziali. Secondo te conoscere Vespa come giornalista vuol dire apprezzarlo?
EliminaHo visto ieri sera tardi Cuffaro intervistato dalle Iene. Lo scorrere delle domande così veloce, come nello stile del programma, che quasi non riuscivo a seguire. Le risposte pure di corsa e a volte troncate.
RispondiEliminaAl confronto Luigi Benedetti ci rasserena, ci da tutto il tempo di riflettere e approfondire per scrivere un giudizio sereno.
Veniamo a noi.
Le domande vanno in profondità, tentano di scandagliare sentimenti, ricordi, fatti accaduti e prospettive. La permanenza di Cuffaro in carcere senza nessuno sconto e senza privilegi. Anzi. Un detenuto più uguale degli altri come è stato dimostrato tante volte che non sto a ricordare. Un dignitoso rispetto della pesante sentenza che va oltre ogni aspettativa.
Un dato certo è che Totò Cuffaro è un uomo nuovo. Più attento, colto, sicuramente migliore. Nel senso che l’esperienza forte della detenzione ne ha fatto una persona più consapevole dei valori della vita. E l’affetto, per certi versi incredibile, di tantissimi cittadini lo ripaga delle sofferenze.
Sull’uomo politico non mi addentro. Ha vissuto un’epoca profondamente diversa da quella che viviamo. Ha fatto parecchi errori come dichiara senza nascondersi. Sembra preistoria, anche se tanti segnali non sono certamente positivi. E i risultati finora ottenuti da questa “nuova” politica dei personaggi arrivati dopo di lui non dimostrano granché di buono.
I suoi detrattori continueranno ad attaccarlo per giustificare la loro inadeguatezza, nonostante gli evidenti risultati del malgoverno siciliano. Ma è normale, e non stupisce più di tanto.
Come ho scritto più volte, Cuffaro lo conosco bene. Siamo amici fin da quando militavamo nei “giovani dc”. E di una cosa sono certo. Lui la mafia la odia per davvero. So che qualcuno leggendomi sorriderà e esprimerà giudizi affrettati. Ma lo confermo. Totò ha sbattuto contro un sistema mafioso, è stato superficiale, disattento e non ha creato barriere di protezione adeguate. Il suo essere uomo di popolo, la sua voglia di stare in mezzo alla gente ha fatto il resto. E ha pagato profumatamente.
Non mi interessa. Non leggerò nulla di questo uomo.
RispondiEliminaHo letto l'intervista. Avendo fatto per alcuni anni volontariato in carcere pernso di conoscere il tema...
EliminaMi fa piacere che Cuffaro si sia "pentito" e "rigenerato" e quindi trovo anche giusto dare risalto ad una "riconversione", oggi ancor di più, visto che nessuno più sbaglia e tanto meno chiede scusa per gli errori commessi.
Rimane in me il dubbio sulle sue responsabilità precedenti... Ha risarcito chi ha, eventualmente, danneggiato con i suoi comportamenti precedenti?
In carcere, ascoltando i detenuti, si ha sempre l'impressione di trovarsi in un mondo di angioletti finiti lì per il troppo peso...
So bene, per averlo provato sulla mia pelle, cosa significa una "riconversione", ma proprio per questo ho sempre qualche dubbio in merito... Per questo motivo il primo commento è stato provocatorio... "Santo subito?"...
Per Grazia Giuffrida...
RispondiEliminaCredo che si debba dare sempre una chance a chiunque... Anche se non leggerò i suoi libri, almeno l'intevista vale la pena leggerla... Potremmo chiamarla "storia di una conversione"... Se è sincera è uno dei "buoni frutti" che il Vangelo si augura sempre...
Non mi serve leggere i suoi libri, mi basta averlo conosciuto, avere apprezzato la sua sensibilità e capacità amministrativa, averlo avuto presente la proclamazione della Patrona di Blufi, avere ricevuto una sua lettera in riscontro al recapito di un ricordo di quel giorno in cui ho potuto costatare la sua dignità di uomo in tutte le vicende che ha dovuto affrontare.
RispondiEliminaUna chance bisogna darla a tutti perché no a Totò, si è comportato da uomo, ha espiato la sua pena ed è rientrato nella normalità. Poi se, a prescindere da qualunque considerazione, non lo si considera un narratore da non leggere questo rientra nella logica delle simpatie, io per esempio gran divoratore di libri gialli non ho mai voluto leggere un libro di Agatha Cristhie, e allora?
RispondiElimina....Totò Cuffaro non ha mai suscitato il mio interesse. Se non per il fatto che un Politico trovato con le mani nella marmellata, e' stato giudicato, condannato e finalmente ha pagato il fio. Dopo di che, saldato il debito con la Societa' e fatto ammenda verso gli Elettori che ha ingannato, ha diritto al rispetto come ogni altro Uomo. Fermo restando che potrà tornare a fare il Medico ma mai più il Politico. La strada della Redenzione e' un percorso intimo, che lascio al silenzio della sua coscienza. Se Credente, può come fece il figliol prodigo, tornare dal padre e chiedere perdono. Ma il vitello grasso macellato per festeggiare il suo ritorno a casa, non dovrà essere pagato dalle nostre tasche.
RispondiEliminaTotò Cuffaro ha dichiarato che non si occuperà più di politica attiva e che si dedicherà alla sua professione. L'ultimo libro della Storia d'Italia di Indro Montanelli e Mario Cervi s'intitola "L'Italia degli anni di fango". Purtroppo Montanelli è morto, e purtroppo continuano gli anni di fango. Nella repubblica di privilegiopoli e tangentopoli (ex Regno d'Italia ed ex Repubblica Italiana ) dove impazza la follia per la grana e facile infangarsi, durante le campagne elettorali, stringendo mani d'illustri sconosciuti. Papa Paolo VI diceva che la Politica, quando è ben intesa, è un atto di carita'. Cuffaro, dopo l'errore commesso e dopo la brutta esperienza del carcere sarebbe un buon politico. Si dice che il carcere serve per reinserire il reo veramente pentito (non per avere lo sconto di pena) nella società. Errare humanum est, perseverare diabolicum.
RispondiEliminaRispetto per l'uomo, per la probabile redenzione, qualche dubbio sul pentimento, ovviamente gli anni trascorsi in carcere possono cambiare una persona (in meglio o in peggio), danno possibilità di riflettere sugli sbagli del passato....non ho letto i suoi libri, quindi non posso dare un giudizio...".credo" che abbia pagato per tutti con molta dignità...cosa che non lo ha distinto nello svolgere il suo ruolo nelle istituzioni....
RispondiEliminaNoto che qualcuno rosica per il fatto che Totò Cuffaro sia nuovamente un uomo libero. Secondo questi "qualcuno" l'ex presidente della regione Sicilia sarebbe dovuto rimanere in carcere fino alla fine dei suoi giorni, perchè per un mafioso non c'è redenzione. Si da il caso però che la sentenza con la quale è stato condannato sia una sentenza prevalentemente politica. Condannare uno per ammonirne cento o anche mille. Le carte del processo dicono questo, dicono che non ci sono prove inconfutabili, dicono che su una telefonata di Cuffaro c'è una perizia molto discutibile per non dire peggio, in base alla quale si è voluto condannare un politico di destra.. Se questo politico fosse stato del PD forse il processo nemmeno si sarebbe celebrato.
RispondiEliminaLasciamo da parte il ruolo politico e limitiamoci a soffermarci sull'aspetto umano di Toto' Cuffaro che emerge dall'articolo intervista. Il Cuffaro politico, per i reati che gli sono stati imputati, è stato condannato ed ha pagato. Ad un uomo, prima libero, l'impatto della segregazione carceraria determina un dramma non facile da superare se non si hanno alcuni valori ai quali aggrapparsi. Questi valori dipendono dalla sensibilità e dal grado di cultura dell'individuo. Cuffaro con il pensiero rivolto alla famiglia, la fede religiosa, lo studio e lo scrivere è riuscito a neutralizzare la monotonia del tempo nell'attesa della libertà. Il suo carattere comunicativo lo ha spinto a fraternizzare con gli altri carcerati affrontando con empatia i loro problemi. A proposito del sistema carcerario gli va riconosciuto il merito di aver sollevato il problema dei diritti dei detenuti spingendosi a concepire un modo diverso di scontare la pena. Oggi Toto' Cuffaro è un uomo libero circondato da tantissimi amici che non lo hanno abbandonato ma, soprattutto ha scoperto i valori della famiglia che nel passato aveva anteposto alla politica. Mettendo un velo sul suo passato politico quello che emerge è il dramma di un uomo che ha saputo trarre insegnamenti dalla vita carceraria.
RispondiEliminaPersonalmente non amo le posizioni estremiste e sopratutto le condanne a vita senza appello, come pure le santificazioni gratuite. Cuffaro è stato condannato perché la giustizia ha avuto ragione rispetto alle sue dichiarazioni d'innocenza. La pena inflitta, è stata scontata e con essa, soddisfatto il risarcimento dovuto alla società, offesa dalla colpa. L'articolo di Luigi Benedetti, narra una persona molto diversa, con una sensibilità e visione della vita sincera ed a tratti anche commovente. A meno che non reciti la sua parte meglio di un attore hollywoodiano, come non riconoscergli questo cambiamento? Seriamente, chi ci da il diritto di giudicare chi è veramente oggi Totò Cuffaro?
RispondiEliminaIl signor Cuffaro a scontato, giustamente, la sua pena , e va, giustamente, considerato cittadino come gli altri, ogni odio e dispezzo è disumano e contrario alla nostra cultura. Giustissimo che sia , adesso , cittadino libero, ha pagato ed adessso va rispettato come me e te.
RispondiEliminaCOSI' E' SE VI PARE!!!
RispondiEliminaOgni intervento, intervista o colloquio che bvede come protagonista l'amico TOTO' fa impazzire i pochi detrattori, gli invidiosi e i politici che lo temono anche se non è e non vuole più essere protagonista della Vita Pubblica siciliana e Italiana.
I mass media invece danno sempre grande risalto ad ogni suo gesto o dichiarazione e questo li fa rodere fino a farsi venire l'ULCERA NERVOSA. A costoro dico: rilassatevi, fatevene una ragione ed evitate di scrivere porcherie sui social, se volete evitare che vi venga l'ulcera, tanto ne Lui ne noi ci facciamo più caso a quello che dite e scrivete. La cattiveria rimane a voi e vi qualifica per quello che siete!!!
Noi suoi amici e i tantissimi suoi estimatori invece ci compiaciamo e ci sentiamo confortati e stimolati nel nostro agire quotidiano e, finalmente dopo 5 anni di sofferenza, diciamo che ci sentiamo meglio, molto meglio e a volte godiamo anche!!!
Non amo giudicare, non è mia l'ombra che si allontana con una pietra in mano perché non avrei mai avuto il coraggio di alzare la mia mano desiderosa di giustizia. Alla giustizia ci credo si, ma molto più a quella divina perché siamo uomini e come uomini siamo imperfetti e ingiusti.
RispondiEliminaE se un'esperienza dolorosa fa nascere un intimo desiderio di verità occorre avere massimo rispetto per chi ancora crede in questa parola…
È veramente inimmaginabile come la vita ci possa condurre attraverso i percorsi più impensabili e tortuosi per farci arrivare a mete lontanissime da quelle che ci eravamo preposte
RispondiEliminaIl nostro viaggio è un'avventura di cui conosciamo solo l'inizio..immaginando conclusioni cui non arriveremo mai..perché alla fine del viaggio saremo persone diverse da quelle che sono partite....
Non ho mai avuto simpatia per Cuffaro, sin da quando fece quella violenta intrusione nella manifestazione organizzata a Palermo e trasmessa unitamente da Santoro e Costanzo contro la mafia. Ho letto con interesse l'intervista di De Benedetti su politica prima e mi compiaccio che l'uomo sia tanto migliorato, attraversando con dignità la dura esperienza del carcere.
RispondiEliminaCuffaro ha strapagato, ha ammesso di aver sbagliato per eccesso di ingenuità e fiducia. È un altro UOMO, ....VERO, PIU' CONSAPEVOLE, PIU' CONSCIO DEI VERI VALORI IMPRESCINDIBILI DELLA VITA! Volevano la forca? Volevano che si piangesse addosso??? non lo ha fatto, avrebbero invece voluto che lo facesse. Invece ha scritto ed anche bene... con dei ragionamenti che dovrebbero far riflettere tutti coloro che si ergono a giudici e che avrebbero gioito nel vederlo finito moralmente e psicologicamente.
RispondiEliminaEccolo invece... come un guru, arricchito dalla dura esperienza carceraria che avrebbe sfiancato chiunque. Non ho mai avuto una particolare simpatia per lui, ma perbacco, un po' di serenità di giudizio, non guasta mai!
Ho letto con attenzione l’articolo e l’intervista. Ho letto i tanti commenti, alcuni molto pesanti. Siamo nell’anno della MISERICORDIA che è”Sentimento di compassione e pietà per l'infelicità e la sventura altrui”Non mi piace infierire e non lo farò. Probabilmente, se non fosse diventato un uomo di potere. Cuffaro avrebbe potuto dare ben altre performance. Il potere diventa smania, ossessione e pur di tenerselo Cuffaro è diventato il traditore pronto ad accettare il compromesso e pericolose amicizie. Il potere l’ha ubriacato e reso punibile. Cuffaro ha scontato la pena con grande dignità. La fede religiosa e l’affetto della sua famiglia l’ha aiutato tantissimo! Questo gli fa onore!Pare che abbia ritrovato dentro di sé risorse inaspettate!Tanti politici dovrebbero condividere, qualche cella ma non sono presi in considerazione e non intraprenderanno mai un percorso di rinnovamento e pentimento. Emergono la sofferenza dei detenuti e le condizioni inumane in cui vivono la pena senza avere la sua levatura culturale, la sua fede e affetti su cui contare. Certo non ci porta notizie nuove!Ma Lui non ha visitato le carceri, ha vissuto la vita carceraria con i detenuti. Totò Cuffaro mi fa ricordare Delitto e castigo, il racconto tormentato della presa di coscienza di una colpa e di una redenzione. All’editore, lo stesso Dostoevskij scriveva.«Nel mio racconto accenno anche all’idea che la pena giuridica con la quale si punisce il delitto spaventa molto meno il delinquente di quanto pensino i . Legislatori – poiché egli stesso moralmente la esige».Totò Cuffaro ha sbagliato,ha pagato il suo debito è cambiato nel corpo e nello spirito. La sua redenzione è compiuta e avrà tutto il rispetto che merita. Vorrei finire con una riflessione ironica. Se prima di diventare politici si facessero due anni di duro carcere, la nostra classe politica migliorerebbe?
RispondiEliminaHo apprezzato tantissimo il tuo commento, signora Marisa, che ritengo certamente un normale e giusto modo di disquisire un caso “umano”, in quando sei riuscita a mettere in primo piano un uomo e la sua dignità. Sono sempre di diverse vedute i criteri di valutazione su un personaggio ad alta visibilità politica, ma spesso si preferisce percorrere la facile via della critica sistematica. Giustamente come fai rilevare, il caso “Cuffaro” non può assolutamente essere liquidato con la sola visione degli atti processuali e delle relative sentenze, che ovviamente vanno rispettate. Su questo personaggio sono stati spesi fiumi d’inchiostro e tante notizie spesso calunniose, addirittura accuse prive di alcun fondamento da parte degli organi di informazione. Credo che a nessuno sfugga che l’uomo Cuffaro per anni è stato oggetto da parte della stampa e di uomini politici a lui avversari, di attacchi indegni che ora dovrebbero solo vergognarsi e rimettersi alla propria coscienza per l'odio che hanno nutrito nei suoi confronti. Chi non ricorda le accuse calunniose rivoltegli in quella trasmissione televisiva da Antonio Di Pietro, condannato in seguito al risarcimento per diffamazione? Sarebbe opportuno, perciò, esplorare l’uomo stesso, la sua storia, il suo esprimersi, il suo godere ed il suo soffrire, il suo rivolgersi agli altri, il suo sognare e la sua grande voglia di proiettarsi nel futuro in veste diversa. Solo così, penso, possono essere giustificate le linee generali del comportamento umano che disegnano quel percorso comune che illumina attese e desideri, conquiste e sconfitte, grandezze e miserie di questo strano essere sempre più autonomo e sempre più succube di scelte non volute che è l’uomo. Credo necessario anche, di scoprire la natura di quello slancio vitale che muove, con la coscienza ovvero senza di essa, tutta l’evoluzione e lo sviluppo di una persona. Come docente, signora Bignardelli hai saputo entrare nel contesto del problema morale che lo definisce e lo delimita almeno nella sua espressione di partenza, dando nuovo significato ai termini spesso ripetuti, come “regola morale”, obbligo e legge, però senza tralasciare le colpe commesse. Certo in politica occorre moralità, ma tante volte la superficialità o la mancanza di una conoscenza politica, ci porta a dimenticare che può essere messo da parte il concetto di dignità, d’altronde è ciò che mette in evidenza l’articolo di Luigi Benedetti, un servizio che senza volerlo ci porta ad uscire dal solito coro della critica spesso arida e sterile. Però, non dobbiamo mai dimenticare che siamo ormai diventati spettatori curiosi di una realtà processuale imbastita fuori dalle aule giudiziarie e dalle sue regole. Un continuo imbastire di processi mediatici che ci vengono offerti ogni giorno sullo schermo alla ricerca di una sentenza che soddisfi le nostre aspettative e/o previsioni, una verità data prima dalla spettacolarizzazione mediatica, che da un'aula di un tribunale. Con il giornalismo abbiamo creata quella che viene definita “comunicazione di massa”, sul suo potere e su coloro che vi si espongono, gli studiosi dibattono vivacemente, ma che tale potere si verifichi è certamente dimostrato. I media godono di una vasta legittimazione sociale ma anche da parte del potere politico ed economico e per questo lo spettatore è portato a dare fiducia secondo meccanismi differenti rispetto a quelli utilizzati nella vita normale. A questo punto è d’obbligo porci una domanda, poi ognuno dia pure la spiegazione che ritenga opportuno: i massa media, informano o interpretano? Beh… credo che dopo una gogna mediatica e giudiziaria davvero indegna di un Paese civile, fatta a Totò Cuffaro, arrivo alla conclusione dicendo che i mass media “interpretano più che informare. Come hai fatto notare tu, signora Marisa, Totò Cuffaro ha pagato il suo debito verso la collettività dopo quasi cinque anni di carcere. Chi in questi anni si è scagliato contro di lui in modo indegno, e sulle discriminazioni subite, si dovrà ancora fare chiarezza.
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RispondiEliminaIl doveroso rispetto delle sentenze non ha alcuna relazione con la umana solidarietà. Cuffaro é stato condannato per favoreggiamento aggravato, con il parere contrario dello stesso Sostituto Procuratore Generale della Corte. Cuffaro frequentava chiunque, non ha mai negato un colloquio ed un abbraccio a nessuno ed ha sbagliato. E' probabile che se avesse agito con piú accortezza non sarebbe stato così benvoluto da tanti siciliani. Se poi ha anche commesso degli illeciti è giusto che paghi, ma ritengo inappropriati e volgari i commenti ironici e forcaioli neanche si trattasse di un assassino colto in flagranza. Nessun uomo politico italiano ha mai accettato una sentenza pur dura con tanta sobrietà, senza additare i giudici e gridare al complotto. Personalmente ritengo che Cuffaro abbia gestito la politica in modo personale e forse imprudente e non credo volesse favorire, almeno intenzionalmente, cosa nostra. É lecito che ognuno esprima il proprio giudizio sul politico, purché rispetti la vicenda personale di un uomo che ha accettato con deferenza le inchieste giudiziarie e le successive condanne. Oggi si parla di redenzione (?)ma nessuno parla di rieducazione. Si l'uomo Cuffaro è uscito rieducato, lo Stato ha fatto il Suo dovere. Ecco l'uomo che ha pagato con il carcere le sue malefatte ma che ancora deve pagare e stavolta in moneta sonante il danno di immagine alle istituzioni (credo che ammonti a circa 600.000,00 Euro)e anche questo è (forse) giusto cosi la rieducazione sarà completa. Ma un uomo cosi rieducato avrà diritto a lavorare? Certamente diranno i benpensanti ma mi trovo costretto s smentirli perché Cuffaro è stato radiato dall'ordine dei medici, si perché la sua professione è quella, e allora questo Cuffaro rieducato e con questa montagna di debiti come farà? Forse come tanti altri rieducati si darà alle rapine o fare il malavitoso, no non è cosi la mia è solo una provocazione ma prego tutti di riflettere un po'.
Non conosco molto il percorso politico di Cuffaro ne ho potuto seguirne la questione giudiziaria Non si discute una sentenza al terzo grado tuttavia quelle create sulla base di concorsi esterni o come ho letto accusato da Massimo Ciancimino mi lasciano sempre tante perplessità a cui aggiungerei come sempre le lungaggini di questi processi Leggendo l’intervista s’intuisce di un uomo con una grande forza d’animo che ha saputo affrontare la detenzione con molta dignità Lascio fuori ogni commento sulla fede perché è qualcosa di molto intimo e molto personale Tuttavia si deve riconoscere una grande forza d’animo che gli ha permesso di ben reagire a tutte le situazioni Personalmente non vedo le ragioni di un pentimento rispetto ad un reato abbastanza discutibile Fa bene a lasciare la politica Leggevo che voleva andare in Africa per attività umanitarie Se vero complimenti un impego che non può che fargli onore
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