di Gisa Siniscalchi - “La Sicilia è una merda”, lo ha detto Vecchioni e si è aperta una polemica infinita, io prendo invece alcune parole di una giornalista del Fatto Quotidiano, che vive e lavora in Sicilia,
Sandra Rizza, che ha riaffermato il concetto espresso dal cantautore e ne ha ben spiegato la validità, con una lucida e documentata analisi.
"È una merda perché i miei figli studiano con l'unica speranza di poter un giorno emigrare per vedere riconosciuti i loro meriti. È una merda perché la mancanza di opportunità ci rende tutti fatalisti e pessimisti ma quando qualcuno ci ricorda i nostri difetti diventiamo tifosi sfegatati della nostra bella Sicilia e ci manca solo che afferriamo il marranzano e cominciamo a ballare la tarantella in mezzo alle strade. È una merda per questo e tanto altro e lo sappiamo tutti e se un cantautore ubriaco, per eccesso di alcol o per semplice idiozia, ci ricorda che viviamo in questa merda possiamo pure sputargli addosso tutto il nostro disprezzo ma la merda rimane e forse è di questo che dovremmo cominciarci a preoccuparci”.
Voglio andare oltre, alle origini di questo fenomeno che risale a prima dell'unità d'Italia il 1861, si ha notizia dell'uso del termine "malapianta" riferito a fratellanze o sette, di compiacenze e di uomini d'onore già nel 1838, che esercitavano dietro pagamento, protezione per soddisfare bisogni di vario genere.
Si fa risalire la nascita della mafia intorno all'Unità d'Italia, non perché prima non esistesse questo tipo di criminalità, ma perché è in quel momento storico che prende evidenza il conflitto con lo stato.
Nel 1860 Garibaldi sbarca in Sicilia, e come sappiamo si servì dei mafiosi per le sue battaglie, sapeva di non poter muovere alcunché senza il loro aiuto, per la conoscenza del territorio e della popolazione. La stessa operazione la attuò a Napoli, verso la camorra, senza il cui aiuto non sarebbe riuscito nella sua impresa.
Si può con una qualche certezza affermare, con buona pace degli storici risorgimentisti, che la mafia e la camorra abbiano contribuito in parte all'Unità d'Italia, ovvero al regalo del regno delle due Sicilie ai Savoia, o per meglio dire al furto e alla nascita della questione meridionale, mai del tutto risolta.
Il governo piemontese, non riuscì ad interagire con la struttura politica ed imprenditoriale siciliana, abbandonata a se stessa, che si servì dei mafiosi per difendersi dal brigantaggio, e dalle nascenti idee dei contadini per una più equa distribuzione dei proventi del loro lavoro.
Da quel momento la mafia acquista una nuova veste, si legittima quasi, e si rafforza; per mantenere il controllo del territorio e per i suoi affari deve instaurare rapporti con il mondo politico ed economico basato sullo scambio di favori, e nei confronti dei cittadini con minacce e condizionamenti ottenendo omertà e consenso, e controllo dei voti.
Solo nel periodo del fascismo, Mussolini prova a scardinare questi legami, mandando in Sicilia Cesare Mori, il prefetto di ferro. Che pur tra molte difficoltà infligge una mazzata non indifferente alla mafia, colpendo molti sindaci conniventi e facendo celebrare numerosi processi con condanne esemplari. È la prima volta che lo stato si impegna nella lotta alla mafia, il motivo non è certo dei più nobili, poiché Mussolini non poteva sopportare che ci fosse un contro potere opposto al suo. “Se la mafia fa paura, lo Stato deve farne ancora di più”.
Gli americani sbarcati per liberare il Paese, e la Sicilia in primis, operarono come aveva fatto Garibaldi dando così nuova linfa al fenomeno mafioso. I boss, tornarono dal confino millantando il loro antifascismo, collaborarono con gli americani, infiltrando i loro uomini nelle province e nei comuni, e per l'onorata società fu un nuovo inizio, molto più proficuo del passato. Alla fine della guerra, col voto che sancisce la scelta della Repubblica, si assiste ad una crescita esponenziale della mafia, grazie anche al trattato di pace firmato dall'Italia in cui era prevista la non perseguibilità per le persone che avevano collaborato con gli alleati tra cui molti mafiosi collaborazionisti. In questo modo si ricrearono i legami con la politica e stavolta non di sudditanza, più il contrario. Nonostante ciò, e nonostante il caso Portella delle Ginestre e il caso Giuliano, negli anni a venire, e fino agli anni 70, politici e magistrati negano l'esistenza della mafia che nel frattempo fa affari con connivenze più o meno evidenti, con la politica e i suoi rappresentanti. E come sappiamo da inchieste di giornalisti e magistrati, nessuno, o quasi, dei partiti politici è immune a quel sistema.
Tutto ciò, negli anni dall'unità d'Italia agli anni 60, ha reso la Sicilia un territorio anomalo, fuori dallo Stato Italiano, quasi uno stato a se, formato da politici e mafiosi, che esercitavano un controllo totale sui cittadini, che subivano, proprio perché sentivano l'assenza dello Stato Italiano, essendo di fatto alla mercé di questi individui.
"La mafia è già potere quando collude con quella parte del pubblico potere che è ad essa permeabile; questa parte di potere pubblico diviene mafioso, al servizio della mafia. L'attività mafiosa volta costantemente agli illeciti e parassitari arricchimenti non potrebbe perdurare senza la permanente collusione col pubblico potere".
Questa dichiarazione di Girolamo Li Causi, Senatore PCI Vicepresidente della commissione parlamentare antimafia dal 1968 al 1972, è senza alcun dubbio la migliore visione della realtà, come era, e come è riportata nella relazione della commissione antimafia del 1971: tale relazione, fece comprendere che il potere mafioso era da scardinare, erano da rompere i legami con la classe politica, bisognava fare pulizia. Furono creato il pool antimafia che con non poche difficoltà provò a farlo, fu il periodo più cruento in termini di uccisioni che si ricordi. Giudici, poliziotti, politici, giornalisti e attivisti. La mafia tentava di impaurire chi cercava di combatterla, imponendo omertà, minacce e ritorsioni.
Per far fronte a questi attacchi e dopo l'uccisione di Rocco Chinnici, il primo giudice a presiederlo, il pool antimafia fu rafforzato con l’arrivo di Antonino Caponnetto, che reclutò Falcone, Borsellino, Guarnotta e Di Lello, giudici istruttori coadiuvati dal sostituto procuratore Giuseppe Ayala, col compito di occuparsi di tutte le indagini su “cosa nostra”.
Il giudice Giovanni Falcone comprese che uno dei modi per combatterla era l'uso dei pentiti, argomento tanto dibattuto fino ad oggi. Si servì dell'aiuto, di uno dei più importanti pentiti, Tommaso Buscetta, che poco alla volta portò alla luce i legami, gli intrallazzi e i favori tra mafia e politica.
E anche grazie alle rivelazioni di questo pentito si poté celebrare il maxiprocesso di Palermo contro un elevatissimo numero di imputati, per associazione mafiosa, il nuovo reato istituito all'indomani dell'uccisione del prefetto di Palermo generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro avvenuta il 3 settembre 1982. Il processo durò dal febbraio 1986 al gennaio 1992 con la sentenza della cassazione che confermò 19 ergastoli e pene per un totale di 2665 anni di detenzione.
Non è bastato. Giovanni Falcone, infatti, fu assassinato con la moglie Francesca Morvillo e la scorta nella strage di Capaci nel maggio del 1992, a pochi mesi della sentenza definitiva, e dopo soli 57 giorni un'altra strage uccide Paolo Borsellino che con Falcone collaborava alle inchieste su collusioni mafia e apparati dello Stato.
A distanza di anni, poco è cambiato. Meno stragi e omicidi, la mafia si è evoluta, non più minacce di morte, ma più incisiva, si è messa giacca e cravatta, interagisce in maniera manageriale, con banche, aziende, imprenditori e amministratori pubblici, come già faceva in passato, ma ora palesemente, quasi alla luce del sole.
La lotta alla mafia, di cui ogni politico si fa portavoce, è una utopia, molto apparato politico, amministrativo pubblico e anche privato, è permeato di ambiguità, e come si può combattere qualcosa di cui sei parte integrante?
Troppi misteri irrisolti, troppe domande a cui non si vuole rispondere, troppi interessi economici e di parte, trattative più o meno lecite, ancora oggi. Il cambiamento, ovvero una lotta reale al fenomeno mafioso, potrebbe avvenire forse, se si cambiasse in maniera totale, la classe politica, forse.
Gisa Siniscalchi
Fusignano (RA)
19 Dicembre 2015
Cambiata una classe politica, se ne fa un'altra, uguale alla precedente, se non peggio.Il cambiamento della Sicilia è sintetizzato perfettamente da Tomasi Di Lampedusa, nell'espressione "cambiare tutto per non cambiare niente", e da Leonardo Sciascia nell'espressione "Sicilia irredimibile."E questo è tutto.
RispondiEliminaOttimo argomento. Ho conosciuto personalmente Mommo Li Causi. Negli '40 e '50 è stato diverse volte a San Giuseppe Jato a fare comizi per il PCI. Era un ottimo oratore.
RispondiEliminaComplimenti a Gisa Siniscalchi per la completezza dell'articolo.
RispondiEliminaCome tu dici, fino agli anni '70 i politici non comunisti negavano l'esistenza della mafia. Eppure la mafia imperava. "Nel più antico parlamento del mondo" cioè nel Consiglio della regione Sicilia alcuni si facevano eleggere direttamente, altri facevano eleggere persone manovrabili secondo i loro interessi. Non dimentichiamo che Ciancimino è stato eletto Sindaco di Palermo. Il Prefetto Vicari(?) espresse la sua riserva pubblicamente, ma non fu ascoltato.
Tanti, oggi imprecano contro i collaboratori "pentiti". Dimenticando che prima di Buscetta i capi mafia a processo venivano tutti assolti "per insufficienza di prove". Venivano condannati solo alcuni scagnozzi presi con la pistola fumante.
Grazie per l'apprezzamento Michele, è un articolo che ho molto sentito, per la Sicilia e i siciliani che della lotta alla mafia hanno fatto e ancora fanno il loro primo fine...grazie.
EliminaArticolo molto bello ed interessante per la dettagliata analisi che condivido in pieno
RispondiElimina...però la mafia di oggi non ha più gli uomini d'onore di un tempo che anche se cultori di violenza, erano ossequiosi e rispettosi di quel dogma non scritto che regolava la vita di Cosa nostra e della società civile. Mai violenza su donne e bambini come sta succedendo da un po’ di tempo
Gisa Siniscalchi pur non essendo siciliana ha argomentato con precisione ed abbondanza di dati storici passati , ma anche recenti...ricordando tutti gli episodi più eclatanti che dimostrano...che senza complicità e connivenze di sfere dello stato e dei colletti bianchi la mafia non avrebbe potuto mai infettare uno stato come l'italia per 150 anni. Pertanto la sicilia abbinata a questo fenomeno deteriore di sottocultura mafiosa cosi diffusa nei gangli dello stato, della amministrazione pubblica e della società civile è da considerare una regione di merda come dice Vecchioni senza ipocrisie e facile campanilismo, ma se si ha onestà intellettuale, bisogna riconoscere che il cantante milanese ha ragione...se invece si scinde e si estrapola la sicilia dal fenomeno mafioso...dando spazio alla storia ed alla cultura...questa regione anzi nazione, non ha uguali nel mondo ! Grazie di questo articolo a Gisa S.
RispondiEliminaMolte grazie a lei dottor Vullo, ha perfettamente ragione, la Sicilia è una terra bellissima, piena di storia e di cultura, inzozzata da questo fenomeno che ormai è nazionale, mi piange il cuore sul serio, pur non essendo siciliana, per me è parte dell'Italia e quindi anche mia..grazie ancora per l'apprezzamento.
EliminaNon sono certo un esperto di mafia ma credo che sia doveroso distinguere tra mafia e mafia. La mafia oggi credo sia diversa da quella che trovò Garibaldi. Oggi è la stessa mafia che c'è in quasi tutte le regioni italiane ed in molti paesi esteri. Credo sia un errore far risalire la mafia alla discesa dei piemontesi. La mafia in Sicilia , lo sapete meglio di me, nasce per contrastare il potere della nobiltà spagnola per poi diventare quella che è diventata. E' anche un errore far credere che i problemi della Sicilia comincino con l'Unità. I problemi della Sicilia e la sua arretratezza cominciano con il dominio spagnolo che mai si occuparono della nostra isola e che la fecero andare alla deriva. La fecero arretrare culturalmente e questo ha provocato i danni che ancora adesso sono evidenti.
RispondiEliminaCerto la mafia esiste da più tempo, ma che con la discesa dei Savoia si sia rafforzata è un fatto conclamato, la questione meridionale nasce da lì, il regno delle due Sicilie, prima dei Piemontesi era florido, anche con le mafie dei feudi, molto più ristretta, è la storia che lo dice, non io..
EliminaChe la Sicilia prima dei piemontesi fosse florida è una grossa palla. Era una regione di pezzenti con attività commerciali ed industriali zero.
EliminaComplimenti Gisa,
RispondiEliminaquesto è un articolo che mi piace molto, per i punti trattati e le evidenze storiche. Da appassionato di storia a cui piace seguire le vicende di questo paese, non posso che complimentarmi per i fatti da te puntualmente narrati.
La data del 1860, costituisce sicuramente un punto di svolta per questo paese nel suo insieme, che arricchisce, industrializza e modernizza il nord e riduce il meridione in povertà, azzerandone il progresso sociale, economico industriale ed i primati tecnologici in campo europeo e mondiale. Certo la storia scolastica non ci spiega come questo sua potuto avvenire, mascherando la “conquista” del sud ad opera dei mille, accolti a braccia aperte dai mafiosi e dagli abitanti della Sicilia con disprezzo e ostilità, tacendo sull’intervento militare degli inglesi con la propria flotta militare davanti alle coste di Marsala, di decine migliaia di mercenari messi a disposizione di Garibaldi, oltre alle molte casse di piastre d’argento turche, utilizzate per corrompere gli ammiragli e generali borbonici per lasciare il libero passo all’avanzata dei criminali in camicia rossa, autori di efferati delitti e stragi di donne, vecchi e bambini lungo il loro cammino. Ma Garibaldi in primis ed in seguito i Savoia, consegnarono la Sicilia e le sue istituzioni in mano ai mafiosi secondo i patti stabiliti prima dell'invasione. La stessa mafia che ancora oggi, evoluta e camaleontica, continua a governare la vita dell'isola e non solo.
LA MAFIA
EliminaArticolo lineare, chiaro, storicamente esatto: I più vivi complimenti all'Autrice che senza retorica scrive una delle pagine più "reali e "vere" della storia della mafia e, direi della storia nazionale, e delle conseguenza del suo potere.
Non vedo come lo si possa commentare trovando altri argomenti o focalizzando meglio la sua importanza nella vita dell'Italia.
Personalmente ritengo che difficilmente si potrà mai arrivare ad estirpare questa mala erba dal tessuto, ormai, non più siciliano ma nazionale e che visto direi il suo riconoscimento ufficiale durante il periodo berlusconiano continua a permanere radicato nei “palazzi” a livelli incredibili.
Bastano i casi delle mancate autorizzazioni a procedere decretate dal Parlamento per quie suoi elementi chiaramente parte viva dell'organizzazione.
Oggi non si tratta più della “mafia come caratteristica siciliana” Oggi la mafia è dappertutto e la recente vicenda delle “banche” salvate credo ne sia la prova più evidente.
Una sola domanda viene da farsi: sarà sempre così? Saremo mai in grado di uscirne? Ne dubito fortemente ma bisognerebbe che di colpo in Italia venissero fuori “politici” puri e non parolai “fascinosi” e, principalmente, che il popolo italiano si rendesse conto che gli uomini che devono governare devono essere veramente degli “indipendenti” e non solo degli “elargitori” di favori personali con richiesta di “pizzo” finale.
Speriamo bene.
Grazie Franco, il tuo apprezzamento è molto lusinghiero per me, apprezzo sempre molto le cose bellissime e precise che scrivi sul blog,la tua approvazione è linfa graditissima per me, mi spinge a fare sempre meglio...grazie
EliminaLe esternazioni di Vecchioni vanno collegate in questo contesto: l'atteggiamento apatico ed omertoso della massa sicula crea terreno fertile all'espansione mafiosa. Gli Uomini che hanno avuto il coraggio di combatterla appartengono a quella parte di popolo siciliano che vuole riscattarsi da questo triste servaggio ed è pronta a denunciare questa delittuosa congrega di parassiti, che, in certi contesti ambientali, compete o si sostituisce allo Stato.Sorvolerei sulla nascita e sull'apporto che i mafiosi hanno dato all'unità d'Italia: sarebbe opportuno una più approfondita ed obiettiva analisi storica. Come sbarazzarsi di questo morbo invasivo e tracimante che ha infettato la società e , soprattutto, il mondo politico entrando financo nei gangli vitali delle istituzioni? Non certo calandoci le braghe e stipulando trattative, come è avvenuto anni orsono per i fatti di Firenze. Ho sempre sostenuto che la mafia conosce e teme una sola legge, quella della violenza: tesi sostenuta da alcuni filosofi, come Emanuele Severino. Ordunque, finiamola con la tolleranza, che la mafia non conosce; finiamola con la pietà, che la mafia non conosce; finiamola con la morale garantista, che la mafia non conosce. Lo Stato è il compendio di tutte le anime della Comunità ed è l'unico depositario della sua sicurezza, delle sue leggi e della sua morale. Esso dunque non può applicare la pena di morte, ma leggi più coercitive e vessatorie,sì. Lo Stato deve "far paura" ai mafiosi, oggi "colletti bianchi macchiati di sangue". Il Prefetto Mori ha sbaragliato la mafia in Sicilia e lo ha fatto perché Mussolini non concepiva, come è giusto non concepire, la presenza di un anti-Stato. La mafia, come disse il Senatore comunista Girolamo Li Causi, " non potrebbe perdurare senza la permanente collusione col pubblico potere. Bene! Non ci auspichiamo di certo una dittatura, ma credo che sarebbe opportuno applicare, per i mafiosi e i politici corrotti, le stesse leggi emanate dal Duce (che non prevedevano la pena di morte). Qual è l'inghippo? Questo Parlamento non è moralmente qualificato: dev'essere scardinato e riqualificato. Ce la faranno i nostri eroi ad intraprendere coraggiosamente un nuovo percorso democratico che spazzi via questo melmoso retaggio? Saranno capaci i nostri eroi ad instaurare la dittatura dell'onestà, della vera libertà e della Giustizia sociale? Il Popolo deve appoggiare con tutti i mezzi questo ultimo anelito politico che ci potrebbe condurre all'agognata "liberazione".
RispondiEliminaCiao Nino, lo spero, questo mio articolo è aperto alla speranza di riuscire, molto dipende da noi, uomini e donne comuni, col nostro dire no, e se ancora ce lo faranno fare, col nostro voto, che sia più accorto..grazie.
EliminaBellissimo e chiaro, anche per me che non sono siciliana. Ricordo la prima volta che udii il nome di Li Causi, fu un giorno di una Commemorazione della Stage di Portella della Giestra ...
RispondiEliminaLa Mafia, certo ha ragione Peppino Impastato. hanno ragione tutti coloro che si ribellano ad essa, consapevoli dei rischi cui vanno incontro.
Non so, a livello nazionale, se qualche cosa di serio viene portato avanti per combattere questa, mi permetto dubitarne.
Certo è che, l'articolo di Gisa Siniscalchi è puntuale e storicamente perfetto.
.....
Grazie...
EliminaDice Gisa: “A distanza di anni, poco è cambiato. Meno stragi e omicidi, la mafia si è evoluta... banche, aziende, imprenditori, amministratori pubblici, quasi alla luce del sole”.
RispondiEliminaE allora non c’è speranza? Il sacrificio dei tanti servitori dello Stato trucidati senza pietà è stato inutile? La lotta delle forze dell’ordine, l’impegno della magistratura, le norme sempre più stringenti di questi ultimi decenni non hanno influito su nulla? Non è possibile. E non credo sia tutto così catastrofico. Diciamocelo con tutta franchezza.
Se a Palermo il servizio spazzatura, la raccolta differenziata, lo smaltimento non funzionano come in qualsiasi altra città civile del mondo; e se il servizio tram, le cui strutture sono pronte da mesi non parte per “diatribe” politiche; e, se, ancora, la cosiddetta circonvallazione (nientemeno parte della strada europea E90) è una arteria viaria ridicola, mai completata definitivamente, con un ponte, il “Corleone” che attraversa il fiume Oreto, sul quale è stato imposto un limite di 30 km orari perché pericolante e da diversi anni in attesa di manutenzione e di raddoppio delle corsie; e, se, il bellissimo Palasport è stato abbandonato a se stesso soltanto perché nel 2008 non si sono trovati 300.000 euro per riparare il tetto colpito da un fortissimo colpo di vento, e oggi è vergognosamente semidistrutto e vandalizzato; e, se, per concludere e non tediare i lettori troppo a lungo, Palermo è una città di mare senza il mare perché da 50 anni la costa dove i palermitani facevano il bagno non è stata bonificata ed è in uno stato vergognoso… ecco, per tutto questo, e per tanto altro ancora, che cazzo c’entra la mafia?
C’entrano, invece, frotte di amministratori e politici scarsi, inutili, senza passione, senza visione. Abituati a rincorrere il voto personale, il favoricchio, la ricerca del consenso fine a se stesso. E, purtroppo, e forse ancora più grave, un popolo, nella sua stragrande maggioranza, ormai assuefatto e indifferente. Mai, a mia memoria, una protesta di piazza, forte, aspra, veramente sentita su queste e altre problematiche. E l’esempio di Palermo, ovviamente, è lo dico con molta tristezza, è emblematico della Sicilia e, in parte, di tutto il Sud.
Con questo non voglio dire che la mafia non esiste più, anzi. Ma mi permetto di affermare, con fortissima convinzione, che la questione “mafia”, spesso, è soltanto un alibi per coprire colpevoli incapacità, l’assenza di senso civico, l’apatia e l’indifferenza di troppi, troppi cittadini. C’è, quindi, alla base, un problema culturale ancora tutto da risolvere. Che le istituzioni “colpevolmente”, e mi riferisco principalmente al sistema scolastico, non accennano ad affrontare.
E, dimenticavo, complimenti a Gisa per la passione e il pregevole lavoro che mette a disposizione di PoliticaPrima.
Bell’articolo Gisa, storicamente completo e di scorrevole lettura, al quale non potrei e nemmeno sarei in grado di aggiungere nulla, se non una breve riflessione sul sentirsi italiani.
RispondiEliminaHo sempre avvertito una sorta di compiacimento negli italiani nel parlare di mafia. Studi socio-culturali e politici sull'argomento. Fa parte del dna italico. E’ l’alibi dell’immobilismo culturale nel quale giace l’Italia da decenni. Non esiste la “mafia”, non è qualcosa di tangibile. Esistono i “mafiosi” e lo siamo tutti ogni qualvolta chiudiamo gli occhi perché ci fa comodo. Perché noi italiani abbiamo perso il senso del vivere collettivo ed amiamo tanto piangerci addosso. Ci sentiamo italiani a scadenza, alle olimpiadi. Amiamo le previsioni catastrofiche che giustificano il non far niente. C’è il volere del singolo, ognuno si vuole salvare ma da solo, come se ciò fosse possibile.
Infatti, hai perfettamente ragione, l'individualismo elimina ogni possibilità, il fare se non è comune, condiviso è praticamente una utopia, grazie Tiziana...
EliminaTiziana, hai ben evidenziato un aspetto importante del fenomeno mafia, riportandolo a livello individuale. La perdita del senso del vivere collettivo, dici benissimo. Io aggiungerei l’assenza di rispetto per quel che è “comune”, “pubblico”, che è anche tuo, non di nessuno. E’ questione di educazione della persona. Famiglia e scuola non adempiono più ai loro compiti.
EliminaNell’ambito mafioso l’abitudine di ottenere quel che spetta tramite il favore di una persona influente è radicatissimo, tanto da non apparire scorretto a chi se ne serve. Si parte dalla piccola cosa e si sale la scala di entità dei favori senza vera consapevolezza. Con il compiacimento di essere capaci di servirsi di persone e situazioni.
Ormai non è un fenomeno siciliano, purtroppo, ma ne è intrisa qualsiasi amministrazione. Bisognerà educare una nuova classe politica. O meglio, solo quando la persona di sani principi morali vorrà dedicare le sue energie alla politica, e troverà altre persone oneste e disinteressate come lui nell’organo amministrativo o legislativo in cui siede, allora pian piano si tornerà a crescere.
L'articolo di Gina ci stimola ad una riflessione sulla mafia, argomento molto complesso perché si tratta di un fenomeno che in varie misure ha condizionato la storia della Sicilia. Quando ho scoperto quest'Isola meravigliosa una quindicina di anni fa, ho letto tantissimo per cercare di capire perché ho subito intuito che per comprendere bene la cultura e la storia siciliana é necessario leggere le pagine degli scrittori siciliani: Pirandello, Sciascia, Tomasi de Lampedusa, De Roberto, Consolo. Mi sono stati utili anche alcuni libri di storia locale di un amico siciliano che descrive benissimo l'ambiente storico e sociale in cui nasce la mafia nell'ottocento ai tempi del latifondo.Concentrazione della proprietà e masse di braccianti poveri, terre incolte e proprietari assenti, gabbelloti mafiosi in crescita sociale ed economica. Prima dell'unità d'Italia si crea un legame fra proprietari di feudi e manovalanza mafiosa. Dopo l'unita' di Italia le cose non cambiano molto perché il nuovo regno d'Italia non riesce a modificare l'andazzo consolidato in secoli di crudeltà ed ingiustizie. Come è scritto nell'articolo i tempi cambiano e cambiano anche le dinamiche, l'unica certezza e continuità sono il legame stretto fra mafia e potere politico. Solo quando si romperà questo legame criminale si potrà pensare di estirpare questa mala erba. Come diceva Falcone " si muore generalmente perché si è solo o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere." É esattamente quello che è successo a lui, al Prefetto Dalla Chiesa, a Borsellino e a tantissimi altri.
RispondiEliminaCara Gisa,ottimo articolo.Complimenti Non per la mafia siamo un popolo di merda Ormai la mafia è ovunque ma lo siamo perché abbiamo perso l’orgoglio e la capacità di ribellarci Siamo un popolo di lagnosi, con politici inetti che votiamo. Un popolo che aspetta dagli altri che qualcosa cambi. Ammettiamolo pure ,l’inciviltà impera. Vorrei citare anch’io una famosa frase di Tomasi Di Lampedusa “I Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti. la loro vanità è più forte della loro miseria.”. “Diciamolo pure che manchiamo di senso civico Se rispettiamo le regole del viver civile,possiamo e dobbiamo pretendere di più. . Sono d’accordo con Gisa del nesso tra unità d’Italia e nascita della mafia ma vi contribuì pure la sfiducia nello stato e nella giustizia L’unità d’Italia si basò su inciuci e fu voluta a tavolino. Il popolo credette che ai contadini distribuissero le terre e quando capirono l’inganno ci fu l’eccidio di Bronte perpetrato dall’eroe Nino Bixio (mercante di schiavi) Il primo atto di Garibaldi entrato a Palermo fu depredare il banco di Sicilia di 10.000 e mandarli ai Savoia,l’obbligo di leva,tasse e gabelle peggiorarono la situazione dei ceti più umili Parlando poi della mafia vorrei finire con le parole del deputato repubblicano, Napoleone Colajanni, che nel 1900 affermò al Parlamento: “Per combattere e distruggere la mafia, è necessario che il Governo Italiano cessi di essere il re della mafia”.
RispondiEliminaNon sono assolutamente d’accordo con quanto citato da Vecchioni, è concepibile come semplice esternazione di una rabbia non contenuta. Ho apprezzato il servizio della Siniscalchi, in tali occasioni il compito che impegna ognuno di noi, è quello di essere fermamente determinati, ad individuare sempre quei nuovi sentieri e nuove fonti di conoscenza che spesso vengono ignorati o peggio volutamente dimenticati. Apprezzo l’analisi fatta con lucido raziocinio della signora Marisa Bignardelli, infatti in certe occasioni non dobbiamo mai perdere di vista il susseguirsi di quegli eventi che caratterizzarono l’unità d’Italia. Iniziando da quel fatidico o fatale 1860, gli anni che seguirono si contraddistinsero per una complessa ed intricata serie di accadimenti, sicuramente fondamentali per la storia del nostro “Risorgimento” (termine evanescente). Quegli anni furono difatti testimoni di grandi dibattiti ideologici e politici, ma soprattutto si contraddistinsero per una durissima lotta armata che portò alla repentina e irreversibile scomparsa di un antico regno indipendente, quello de “Le Due Sicilie”, ed alla fine della secolare dinastia borbonica in Italia. Volendo entrare nel vivo dell’argomento trattato, credo sia necessario analizzare quali furono le conseguenze che seguirono all’annessione ma soprattutto con quale spirito gli abitanti di questo territorio si predisposero a far parte di quel nuovo contesto storico, che veniva a concretizzarsi con l’Unità d’Italia. I vari ambiti istituzionali, economici e sociali, erano troppo diversi tra il Nord ed il Sud della penisola, perché la loro fusione in una sola compagine statuale, potesse verificarsi senza forti scontri ovvero in maniera non traumatica. “”Che paesi! Si potrebbero chiamare dei veri porcili! Questo insomma è un paese che bisognerebbe distruggere o almeno spopolare e mandarli in Africa a farli civili””. Così, Nino Bixio, in una epistola inviata alla moglie Adelaide descriveva ed apostrofava lo stato sociale del meridione appena “occupato”. Infatti fu immediata, direi anche prevedibile, la durissima reazione alla formazione di uno Stato Unitario fondato, su un radicale cambiamento dello stato sociale. La Bignardelli è stata ancora più chiara facendo notare che ormai sia del tutto priva di significato parlare di mafia … ma data la generale diffusione in ogni parte d’Italia sarebbe più opportuno parlare di “mafia generalizzata” dovuta ad un radicato malcostume. Infatti si sente spesso parlare di moralità, di legge morale, di imperativo categorico, come di obblighi imposti all’uomo da tradizioni, da religioni, da gruppi di potere, e nello stesso tempo si pensa come liberarsene affermando invece il valore della posizione personale scelta da ciascuno. Sarebbe opportuno, perciò, esplorare l’uomo stesso, la sua storia, il suo esprimersi, il suo godere ed il suo soffrire, il suo rivolgersi agli altri, il suo sognare e la sua grande voglia di proiettarsi nel futuro. Solo così, penso, possono essere giustificate le linee generali del comportamento umano che disegnano quel percorso comune che illumina attese e desideri, conquiste e sconfitte, grandezze e miserie di questo strano essere sempre più autonomo e sempre più succube di scelte non volute. Credo necessario anche, di scoprire la natura di quello slancio vitale che muove, con la coscienza ovvero senza di essa, tutta l’evoluzione e lo sviluppo di una persona. E’ il contesto del problema morale che lo definisce e lo delimita almeno nella sua espressione di partenza, dando nuovo significato ai termini spesso ripetuti, come “regola morale”, obbligo e legge. Si ha l’impressione di essere diventati allergici all’idea di valori morali universali, di criteri oggettivi validi per tutti, e si sostiene decisamente il primato della singola persona.
EliminaOttimo escursus storico della nascita e, sfortunatamente, non della morte del fenomeno mafia. Certamente ogni periodo storico ha avuto la sua "forma" di mafia, a volte anche "partigiana" nel contrastare il potere spagnolo che di certo non ha contribuito allo sviluppo sociale ed economico della Sicilia, o sull'aiuto dato a Garibaldi per portare a compimento l'Unità d'Italia (sui cui benefici potremmo discettare all'infinito) ma credo che quella di oggi, in giacca e cravatta, sia la più pericolosa e deleteria. Sia perché ha ampiamente superato i confini della Sicilia radicandosi in tutta Italia, rendendosi così meno riconoscibile come puro fenomeno territorialmente limitato, sia perché ormai indistinguibile dalle forme di potere, sia politico che imprenditoriale. Si riuscirà ad estirpare questo cancro che l'inezia e la collusione politica hanno alimentato in tanti anni, con uno Stato che ha reso martiri i suoi uomini migliori, con una società che volta lo sguardo per non vedere e non diventare martire essa stessa di questo perverso connubio tra organi dello Stato e malaffare? Difficile rispondere, ma di una cosa sono convinto: è proprio da quella Società, ora apatica e intimorita, che dovrà nascere un moto di ribellione che riporti alla ribalta la famosa "questione morale" tanto cara a Berlinguer e che ora al solo pronunciarla, sembra quasi di peccare di blasfemia....E' doveroso un brava a Gisa che ci ha portato per mano attraverso un pezzo di storia d'Italia. Complimenti.
RispondiEliminaGrazie Luciano, speriamo di essere in grado come società di innescare un cambio di tendenza, spero nei giovani, che hanno avuto negli ultimi anni esempi di lotta, pur difficoltosi, ma resistenti...
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