di Andrea Arena - Quando la propria casa rischia di essere visitata dai ladri, solitamente si blindano le aperture, il DNA degli italiani pare che non preveda tale logica, anzi, quella opposta.
Nella piuttosto recente Storia d'Italia, la virulenta litigiosità di alcuni Casati e Principi, portò il nemico dentro casa: accordo re di Francia – Venezia - Papa, francesi in Lombardia, Luigi XII a Milano, gli ottomani nel Friuli, francesi nel nord e spagnoli nel sud, dominio spagnolo e dominio austriaco ecc.
Lo scoppio della Rivoluzione francese aveva trovato in Italia numerosi sostenitori, specialmente tra i ceti borghesi, che avevano aderito con entusiasmo alle idee rivoluzionarie. Negli anni successivi, però, insorse un diffuso sentimento antifrancese nel popolo; è in questo quadro che si inserisce la discesa di Napoleone Bonaparte in Italia, non fu cosa da poco. Napoleone fondò ben 10 Repubbliche: Giacobina di Alba, Transalpina, Cispadana, Veneta, Cisalpina, Romana, Partenopea, seconda Repubblica Cisalpina e quella di Genova; nel 1801 un'assemblea di notabili deliberò la nascita della Repubblica Italiana, con capitale Milano e presidente Napoleone, che dopo assunse il titolo di re d'Italia e nel 1805 venne incoronato con la "corona ferrea". Fu lui che adottò il tricolore come bandiera.
Anche al giorno d'oggi, quella tendenza esterofila persiste. Nella crisi mondiale in corso, gli italiani continuano a vendere all'estero i marchi prestigiosi del "Made in Italy", fiore all'occhiello del nostro paese.
Al contrario di Francesi, Spagnoli, Tedeschi ed Austriaci (ex "barbari" già conquistati dall'Impero Romano), gli italiani non sono mai stati capaci di "capitalizzare" ciò che possiedono, ieri gli Imperi, oggi le Griffe. La stessa UE (per quanto monca della parte "politica") e della quale l'Italia è cofondatrice, viene oggi rimessa in discussione.
Pur prescindendo dall'attuale "bagarre politica" nazionale, non sarebbe del tutto sbagliato affermare che gli italiani siano affetti da una sorta di "incoerenza congenita" e conseguente esterofilia, in altre parole: mancanza di nazionalismo e di amor patrio.
Andrea Arena
27 luglio 2013
Ecco dov’è finito il made in Italy negli anni della Grande Crisi (clicca per leggere l’articolo) - Con questo titolo il Corriere della Sera di oggi analizza la situazione delle tante imprese passate in mani straniere. Parliamo di eccellenze e di prestigiose aziende del lusso. Ma è il mercato bellezza, e non ci possiamo far nulla.
RispondiEliminaDice Innocenzo Cipolletta, neo-presidente del Fondo Italiano d’Investimento (ministero del Tesoro, Cdp, Abi, Confindustria e alcune banche-sponsor) “Ogni acquisizione è una prospettiva di sviluppo per l’impresa in sé. Possono creare occupazione perché aprono nuovi mercati e suggeriscono nuove piattaforme distributive per i prodotti del made in Italy.
Semmai dobbiamo preoccuparci del perché poche aziende italiane comprino oltre-frontiera.” Ottima riflessione quella di Cipolletta. Infatti il problema è che questa tendenza che dura da tempo non ha un corrispettivo inverso. Così continuando il nostro sistema produttivo e le nostre migliori realtà diventeranno una succursale di società straniere. Tutto questo - come dice Andrea Arena – è anche conseguenza di mancanza di nazionalismo e di amor patrio. Che sia meglio?
Condivido l'opinione dell'autore che gli Italiani manchino di amor patrio ed amor proprio. Tutto ciò che di importante avevamo o scappa via o viene svenduto. Come faremo a produrre pil con il deserto industriale? Ci vorrebbe una classe dirigente che avesse una visione politica del bene comune per i prossimi 20 anni, che sperabilmente si formasse(utopia) con i principi etici di Papa Francesco.
RispondiEliminaIo credo che l'acquisizione di aziende italiane in buona salute e perfettamente funzionanti da parte degli stranieri significa che qualitativamente e commercialmente sono in grado di suscitare interesse e appetiti tali da invogliare i danarosi compratori ad allargare di molto i cordoni della borsa.
RispondiEliminaInsomma, queste aziende non mi pare che siano state svendute nè che la quantità dei lavoratori italiani in queste aziende sia diminuita. Bisogna pensare positivo, anche se in questo periodo di crisi è difficile.
Ma c'è da dire anche che non sempre le nostre aziende vengono trattate bene dalle amministrazioni locali. E' recente la polemica sulla mancata concessione, da parte dell'amministrazione Pisapia, degli spazi del comune di Milano a Dolce & Gabbana. Clamorosa l'ennesima uscita dell'assessore Franco D'Alfonso, lo stesso che voleva proibire i gelati dopo mezzanotte ricoprendo Milano di ridicolo e che si è ripetuto in versione giacobina accusando Dolce e Gabbana di evasione fiscale a iter giudiziario non ancora concluso. Provocando i tre giorni di serrata dei nove negozi D&G di Milano.
Ecco, non credo che questo sia il miglior modo di aiutare le nostre aziende.
Già, dimenticavo...vi ricordate quel manifesto elettorale di Rifondazione Comunista che diceva: "anche i ricchi piangeranno"? Mi pare che Pisapia se lo stia ricordando benissimo.