di Pasquale Hamel - Sembra che la magistratura perda un suo pezzo. Il dott. Antonino Ingroia, dopo le tante polemiche che l'hanno avuto protagonista in questi anni, ha annunciato di volere abbandonare la toga.
L'annuncio, accompagnato da una forte "vis polemica", non coglie di sorpresa. Da tempo il magistrato aveva manifestato l'intenzione di cambiare mestiere e di seguire quella che, forse, considera la sua vera vocazione, la politica. Le sue ripetute esternazioni, al limite della compatibilità con la condizione di terzietà che si richiedono ad un buon magistrato, la partecipazioni a manifestazioni politiche come protagonista di parte, fino ad arrivare alla sua discesa in campo come leader di un confuso raggruppamento politico, Rivoluzione civile, genericamente di sinistra, nel quale sono confluite personalità ed esperienze che, nella più parte dei casi, hanno fatto il loro tempo, tutto questo, e anche altro, non poteva che portarlo a tale grave decisione.
Una decisione, coraggiosa, da apprezzare, che manifesta, se non altro ed almeno in questa occasione, senso di responsabilità. Una decisione che, tuttavia, perde, a nostro modo di vedere, molta della sua nobiltà di fronte alle dichiarazioni, fuori le righe, a cui il magistrato si è lasciato andare affermando di abbandonare la carriera perché si vogliono fermare le sue iniziative antimafia. Un'accusa pesante che, in un contesto così confuso, avrebbe potuto contribuire ad agitare ancor più le acque di un mare già molto scosso dallo tsunami provocato dai pesanti rilievi mossi dal Consiglio superiore della magistratura all'attuale procuratore capo della Repubblica del tribunale di Palermo, dott. Messineo, peraltro sospettato di essere stato manovrato dallo stesso Antonio Ingroia.
Un'accusa rivolta, da quest'ultimo in termini generici, e che, alla luce di una serena riflessione sulla storia pubblica del magistrato, ci sembra quantomeno poco credibile e, piuttosto, ci sembra, il contrario. Invece di lanciare accuse lo stesso interessato dovrebbe supportare di fatti il suo punto di vista. È infatti sotto gli occhi di tutti il fatto che sia andato oltre quei limiti che la stessa ANM ha fissato nel suo codice etico. Codice etico che costituisce una sorta di decalogo di responsabilità che fissa dei limiti precisi alle manifestazioni esterne dei magistrati per garantire quell'immagine pubblica di imparzialità, voluta dalla Costituzione, che garantisce autorevolezza all'ordine.
Piuttosto, diciamolo senza peli sulla lingua, l'essere membro di un ordine come quello giudiziario per Ingroia è divenuto, e ne comprendiamo le ragioni, una sorta di camicia di Nesso che gli impedisce di corrispondere alla sua vocazione di uomo pubblico e di parte. Fa bene dunque Ingroia a lasciare la magistratura, è giusto che il magistrato che sceglie la politica lasci la toga, c'è il precedente Di Pietro, ma eviti di essere protagonista di queste polemiche e, soprattutto, chi interviene a proposito di questa non bella storia eviti di tirare in ballo la figura di Paolo Borsellino il cui profilo umano e professionale ci pare molto lontano da quello del dott. Ingroia.
Pasquale Hamel
17 giugno 2013
Credo che Ingroia e arrivato troppo tardi, se voleva entrare in politica lo doveva fare nello stesso tempo di Di Pietro.Posso immaginarmi che molta gente pensa che la sua scelta e collegato alla strada sbarrata in magistratura.Personalmente non credo che farà molta strada, ma conoscendo la politica italiana basterà per una poltrona da qualche lato............
RispondiEliminaIngroia è stato sia da magistrato che da politico un contestatario, uno che si è trovato con le scarpe strette ovunque, perché una ne pensa e cento ne fa.
RispondiEliminaAdesso è uscito dalla magistratura non per il discorso dell'antimafia, perché di mafia lui non ne ha capito mai nulla, ma per l'autocoscienza del suo fallimento sia come magistrato che come politico.
I veri giudici non spifferano le proprie intuizioni,e non proclamano il proprio programma, ma agiscono in silenzio sapendo di camminare in un campo minato e che qualsiasi avvocato può far vacillare la propria convinzione. Anche il politico se non dimostra coerenza tra il dire e il fare viene trombato. Quindi lasciamo ai posteri il giudizio definitivo e parliamone il meno possibile, perchè la miglior parola e quella che non si dice.
la prima cosa a cui ho pensato sarebbe : "ci ha persu tempu" concordando con le considerazioni di Angelo ed alcune dello stesso Pasquale
RispondiEliminaSi è candidato in tutta Italia meno che ad Aosta mi chiedo perché, forse aveva già programmato quello che oggi ha deciso? O forse pensava di andare direttamente alla direzione antimafia nazionale, cosa che giustamente (a mio avviso)gli è stata negata. Come fa a pretendere un incarico cosi importante in magistratura facendo contemporaneamente politica attiva?
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RispondiEliminaLa magistratura non sentirà la mancanza di Antonio Ingroia, uno che ha fatto carriera come magistrato esclusivamente tramite inchieste e processi sui rapporti tra la mafia e il mondo della politica e dell'economia, ma che, in realtà, ha ossessivamente cercato, anche lui come tanti altri magistrati, il bersaglio grosso, cioè il solito Silvio Berlusconi, usando il processo infinito a Dell'Utri come cavallo di Troia per arrivare all'Uomo di Arcore.
RispondiEliminaDell'Utri, secondo un'ipotesi investigativa, anzi un teorema di Ingroia, avrebbe fatto da ponte tra mafia del sud e mondo imprenditoriale del nord, attraverso mafiosi come i corleonesi Provenzano e Riina e i fratelli Graviano.
Inrgoia stato pubblico ministero nel processo contro il Capitano Ultimo, e ha richiesto il rinvio a giudizio degli imputati relativamente al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia.
Ovviamente c'è dell'altro (poco) nella sua carriera, ma non voglio farne quì la storia.
Adesso ha deciso di decadere dal servizio in magistratura lanciando accuse a destra e a manca sul fatto che il CSM lo avrebbe punito per il suo impegno contro la mafia.
Io dico soltanto che se fosse vero ed autentico il suo impegno anti mafia, se avesse sentito questo impegno come un dovere morale, non avrebbe lasciato la magistratura. La verità è molto più prosaica e anche un pò squallida. Di fronte alla prospettiva di un impegno (comunque molto meglio remunerativo rispetto alla pur notevole paga di magistrato) in politica, attività che gli avrebbe permesso una vita più interessante, varia, sempre in viaggio per motivi politici e a contatto con il mondo, il lavoro quotidiano negli uffici di una procura, sempre rinchiuso in stanze di tribunale più o meno polverose, gli è sembrato del tutto insopportabile. Altro che impegno anti mafia!
Non capisco come Pasquale Hamel definisca la sua "Una decisione, coraggiosa, da apprezzare, che manifesta, se non altro ed almeno in questa occasione, senso di responsabilità".
Io non trovo nulla di apprezzabile nè di coraggioso in questa vicenda.
Un magistrato discutibile in meno e un politico inutile in più.