di Pasquale Hamel - Con un susseguirsi di dichiarazioni estemporanee, il neoministro all'integrazione Cecile Kyenge ha posto all'attenzione dell'opinione pubblica lo scottante tema del riconoscimento della cittadinanza per i figli di stranieri nati in Italia.
Com'era naturale quelle dichiarazioni hanno sollevato molte critiche da parte di chi da sempre manifesta perplessità per il massiccio ingresso di extracomunitari nel nostro Paese ed entusiastici consensi da parte di chi, al contrario, si batte per l'apertura delle frontiere e manifesta forti riserve nei confronti delle restrizioni che si sono tentate di applicare per selezionare i flussi immigratori.
Credo che, di fronte ad un tema così decisivo per il futuro del nostro Paese, sia l'una che l'altra posizione non siano accettabili. Il tema va, infatti, affrontato con grande senso di responsabilità lasciando da parte le posizioni ideologiche e ancor di più le spinte istintive. Cominciamo col precisare che, diversamente da quanto si dice, l'avere adottato il criterio dello "ius sanguinis", come condizione per acquisire la cittadinanza, è comune alla gran parte degli stati europei, mentre il criterio dello "ius soli" costituisce in genere un'eccezione. Il criterio dello "ius sanguinis" si lega infatti alla tradizione di popolo, di stirpe che precederebbe quella di cittadino.
E' questo un criterio che si consolida con la rivoluzione francese e che, culturalmente, ha delle ascendenze forti. Si poteva fare parte di una nazione anche non abitando il territorio dove quel popolo tradizionalmente era stabilito. Avendo come riferimento il nostro Paese, ricordiamo che nel periodo di formazione dello Stato unitario, venissero considerati italiani anche coloro che nascevano e risiedevano in territori al di fuori della sovranità italiana. Ricordiamo i trentini, i friulani, i giuliani, prima della conclusione del primo conflitto mondiale. Sempre in riferimento al nostro Paese, non si dimentichi come il criterio dello "ius sanguinis" fu conclamato nel momento delle grandi emigrazioni. Ai figli degli italiani che, per varie ragioni, erano stati costretti a lasciare il nostro Paese veniva garantita la cittadinanza. Il criterio dello "ius soli" è stato invece adottato nella gran parte dei paesi del nuovo mondo, cioè in stati che favorivano il popolamento e che avevano delle esigue minoranze indigene.
Da qualche tempo, a causa dei sempre più significativi flussi immigratori, il problema si é posto anche nei paesi che adottano lo "ius sanguinis". I primi stati europei che hanno anche adottato il criterio dello "ius soli" sono stati quelli che hanno realizzato vasti imperi coloniali, si tratta della Gran Bretagna e della Francia, che sono stati interessati da flussi immigratori dalle loro colonie. Successivamente anche la Germania, l'Irlanda e il Portogallo, (la prima perché si è trovata nella necessità di acquisire manodopera turca per il proprio sviluppo economico, la seconda dopo la emigrazione di massa che aveva visto deantropizzato molte parti del proprio territorio, il terzo per il rapporto stretto con l'ex impero coloniale e con il Brasile, in particolare) hanno affiancato al precedente esclusivo criterio, anche quello dello "ius soli". A osservare attentamente le normative di ciascuno di questi stati, si evidenzia che il criterio dello "ius sanguinis" sia generale e quello dello "ius soli" un'eccezione.
Tutti quanti questi stati hanno posto delle condizioni che, a mio avviso, garantiscono i vari paesi dagli abusi. Perché è chiaro che la condizione di cittadino da diritto a tante provvidenze, una per tutte ad un sistema previdenziale e di quiescenza che, seppur non ottimale, sicuramente spesso si appalesa come privilegio. Questi stati hanno posto come condizione prioritaria per la concessione della cittadinanza allo straniero che nasce nel loro territorio, quello di essere nato da genitori residenti stabilmente nel detto territorio da un certo numero di anni. La Germania, ad esempio, concede la cittadinanza ai figli di stranieri nati sul suolo tedesco che abbiamo un'anzianità di residenza di otto anni e che durante questi otto anni si siano comportati come cittadini tedeschi rispettosi delle leggi.
Sicuramente, otto anni, che corrispondono più o meno al tempo per acquisire l'istruzione primaria, forse sono troppi, ma un periodo di almeno cinque anni, sarebbe quello giusto.
Proprio tenendo presenti le esperienze di questi Paesi si potrebbe avviare una discussione serena e proficua, ben sapendo, ripeto, che le preconcette chiusure non portano a nulla di buono e che le sconsiderate aperture creano più guasti che benefici.
Pasquale Hamel
18 maggio 2013
P.S. Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa riflessione di Pasquale Hamel su un tema delicato che ha acceso il dibattito nel Paese e su questo blog. L’autore fa una panoramica della situazione negli altri paesi europei nei quali lo "ius sanguinis" è condizione per acquisire la cittadinanza nella gran parte, mentre lo "ius soli" costituisce un'eccezione. Insomma un altro interessante e dotto contributo per approfondire una questione tornata prepotentemente alla ribalta con la nomina del ministro Cecile Kyenge.
Pasquale Hamel, Siculiana (AG) 1949, è un fine intellettuale, appassionato di politica. È stato responsabile culturale regionale della Margherita, della quale ha scritto parte dei documenti programmatici dal 2004 al 2007. Ha una vastissima esperienza legislativa e amministrativa per essere stato, dal 1995, vicesegretario generale e capo di gabinetto del Presidente dell’Assemblea regionale siciliana, fino al 2002. Nel 2003 dirige l’Ufficio speciale, a Bruxelles,per i rapporti con l’Unione Europea. Alla fine di quell’anno, stanco di combattere contro i mulini al vento della politica, decide di dimettersi per dedicarsi, a tempo pieno, ai suoi studi. Ha scritto numerosi saggi: “Dalla crisi del centrismo all’esperienza milazzista”, nel ’78, poi “Nascita di un partito” e “Da Nazione a Regione”. Nel 1986 scrive “La Sicilia al Parlamento delle due Sicilie 1820/21”, nel 1989 “Partecipazione e democrazia in Sturzo e De Gasperi” ed ancora “Breve storia della società siciliana” nel 1994 e altro ancora. Ha scritto su: La Repubblica; Giornale di Sicilia; La Sicilia; Il Foglio e su numerose riviste. Per la biografia completa cliccare su questo link.Benvenuto su PoliticaPrima e buon lavoro.
Mi fa piacere che la mia posizione sulla cittadinanza ai figli degli stranieri praticamente combaci con quella di Pasquale Hamel al quale porgo il benvenuto nel nostro blog, riservandomi di commentare in seguito se riterrò opportuno intervenire
RispondiEliminaMi pare di capire che Hammel è favorevole alla concessione della cittadinanza italiana agli immigrati ed ai loro figli nati in Italia dopo almeno cinque anni di residenza nel nostro paese durante i quali abbiano rispettato le nostre leggi, presumendo che dopo almeno cinque anni abbiano già trovato un lavoro che gli garantisce la autosufficienza per sè e la loro famiglia. Dunque propone l'adozione più mitigata della soluzione tedesca.
RispondiEliminaMi pare una soluzione accettabile che possa andare bene per tutti.
L’argomento riproposto dal prof. Hamel mi sembra pragmatico, ragionevole e in armonia nel considerare che i temi posti dal ministro Cecile Kyenge non siano pronti nell’affrontare una questione così delicata.
RispondiEliminaMi auguro che le mie osservazioni non siano viste, da diverse posizioni politiche, fuori luogo tali da suscitare forti polemiche ideologiche.
Mi ha fatto piacere leggere il presente articolo del prof. Hamel nell’evidenziare che lo “ius soli” nel contesto Internazionale e soprattutto Europeo rappresenta un’eccezione e lo “ius sanguinis” interpreta argomentazioni forti, come il concetto di stirpe e di popolo, tantè che le regione del Tentino Alto-Adige, con qualche eccezione territoriale e linguistica, erano considerati Italiani a tutti gli effetti ed anche la recente legge Bossi-Fini riconosce la cittadinanza Italia a quei territori che oggi si ritrovano in territorio ex Jugoslavia.
In un mio precedente commento ho già parlato di alcuni paesi europei: Regno Unito, Germania Francia e Svizzera e taluni aspetti normativi di questi paesi confrontati con la normativa vigente in Italia non appaiono del tutto migliorativi in relazione alle richieste avanzate dal Ministro Italiano per l’ottenimento dello "ius soli" da parte dei cittadini extracomunitari.
Pertanto ribadisco, a mio modesto parere, che le iniziative parlamentari del Ministro Cecile Kyenge siano viste del tutto personali e non siano azioni Governative che possano ostacolare questioni emergenziali rispetto a questioni del tutto secondarie.
Mi sia consentito, prima di tutto, un saluto e un benvenuto nel blog politicaprima, al prof. Pasquale Hamel.
RispondiEliminaIus Sanguinis o Ius Soli ?. Io considero la concessione dello Ius Soli un principio di civiltà, che va riconosciuto ai figli di cittadini stranieri, nati nel nostro paese, che risiedono e lavorano in Italia . Si può discutere sul numero di anni di residenza del, (o dei) genitore/i, ma certamente non sono d’accordo con Beppe Grillo, il quale sostiene che per la concessione dello Ius Soli si debba ricorrere al referendum.
Dicevo che questo è un problema che riguarda i diritti civili e che avremmo dovuto risolvere già molto tempo prima.
Se pensiamo che i cittadini stranieri, residenti nel nostro paese ormai superano il 10% della popolazione e che in buona parte pagano le tasse e contribuiscono, con i loro redditi, alla crescita del nostro PIL, che i loro figli frequentano le stesse classi scolastiche e fanno le stesse attività sportive dei nostri figli o nipoti, dobbiamo renderci conto che la nostra è ormai una società multietnica e multirazziale.
Ed inoltre vorrei chiedere: chi di noi non ha parenti nelle Americhe? Tutti conosciamo i sacrifici da loro fatti e come si sono conquistati un posto dignitoso in quella società, e grazie allo Ius Soli, soprattutto le seconde e le terze generazioni possono aspirare ad altro ancora.
Dobbiamo riconoscere agli stranieri gli stessi diritti di cui godiamo noi ed insegnare ai nostri figli che questi sono principi fondamentali, dei quali la persona umana, a qualunque razza, religione o genere appartenga, ha pieno titolo.
Certo ci sono motivazioni che in questo momento ci fanno pensare a cose più urgenti rispetto allo Ius Soli, ed è preferibile rinviare il problema, anche se gli stranieri stessi si rendono conto dei gravi problemi che stiamo vivendo.
Ma il problema va affrontato come in tutti i paesi civili, senza fischi o cori come abbiamo visto fare giorni addietro negli stadi, quando è entrato in campo Mario Balotelli, o raccogliendo firme come sta facendo la Lega, ma sapendo che siamo un popolo che ha avuto sempre grande spirito di tolleranza e di accoglienza nei confronti degli stranieri e dovrà continuare ad averlo.
La questione della cittadinanza agli stranieri mi appare prematura per i problemi che stanno attanagliando il nostro paese. Avrei preferito un dibattito in un periodo piú sereno per la nostra nazione. Non la ritengo una prioritá cosí importante. Ma si sá, siamo italiani!
RispondiEliminaQuesto argomento non fa altro che rinforzare berlusconi ed il leghismo. I fans del PD hanno la vocazione al suicidio. Se vince berlusconi e la lega ,te lo do io lo ius soli. Fa bene grillo a non lasciare questo argomento in mano alla destra, come l'imu. Speriamo che il salasso di voti che subisce la sinistra prenda direzione grillo, ultimo argine contro l'uomo nero. saluti dall'isola di montecristo.
EliminaL'uomo nero...certo che come acutezza di analisi siamo alle filastrocche infantili...questo bimbo a chi lo dò
Eliminase lo dò all'uomo nero
se lo tiene un anno intero.
Intanto voglio dare il mio benvenuto al Prof. Pasquale Hamel in POLITICAPRIMA.
RispondiEliminaIl commentare un suo pensiero o un suo articolo, per quel che mi riguarda è un privilegio.
La sua posizione mi sembra oltre che ben sostenuta, anche abbastanza condivisibile.
Purtuttavia, ho come l'impressione che si tenda a complicare un tema che in punta di diritto sia di suo chiarissimo.
La domanda è semplice, vogliamo che chi nasce in territorio Italiano sia considerato tale?
La risposta può e deve essere un si o no, ragionamenti e disquisizioni o cavilli e pre-condizioni, a mio avviso, oltre ad insabbiare tutto, tendono a far si che su un punto cosi chiaro e cosi veramente politico non ci si possa contare e dividere.
Egregio prof. Hamel, io so benissimo che in Italia non ci sono i numeri per fare approvare questa legge, ma ritengo che sia importantissimo e dirimente, che le forze politiche su questo si contino, ma senza Walzer di chiacchiere inconcludenti, dicano solamente si o no.
E quando su un punto simile, che in se è una visione di società auspicata e di orizzonte politico, si saranno ovviamente divise, non credo e non voglio che su altre cose, si creino pragmatiche maggioranze di governo.
P.S.
Ovviamente io sono favorevole allo ius soli, ma in maniera assolutamente netta e semplice
Caro Sergio. ogni tanto potresti scendere dall’Olimpo della politica e confrontarti con quelle persone modeste che la pensano diversamente.
EliminaLa dialettica politica prima di arrivare ad un si o no ha bisogno di notevoli approfondimenti in modo che possa dimostrare che la ragionevolezza e le esigenze della Nazione possano tradursi in atti normativi.
Concordo con Sergio Volpe, e ribadisco la sintesi di quanto espresso negli ultimi miei commenti.
RispondiEliminaConcedere alla nascita la cittadinanza ai bimbi nati in Italia in base allo "ius soli".
Agli adulti su espressa loro richiesta e con quel minimo di requisiti essenziali descritti da Hamel (5 anni, rispetto delle leggi italiane, lavoro autosufficiente).
Qualunque altra discussione riguarda solo il rispetto ed il mantenimento dell'ordine pubblico che hanno un valore generale.
Mi pare una posizione di mediazione quella di Hamel. Il problema esiste e va affrontato, ma non bisogna correre troppo.
RispondiEliminaInsomma questi bambini posso aspettare, magari non diciotto anni com'è adesso e magari senza ulteriori appesantimenti burocratici, ma un po' di anni si.
E non si capisce perchè. Forse per la preoccupazione di invasioni di donne incinte provenienti dal terzo mondo? E allora cosa ci stanno a fare i controlli alle frontiere e tutto l'apparato che abbiamo per contrastare gli sbarchi e poi, eventualmente, per rispedirli?
Concordo in tutto con l'Autore, con cui in altra sede abbiamo avuto modo di confrontarci sul tema. Solo una precisazione da costituzionalista. Da tempo ormai la Corte costituzionale riconosce a tutti, stranieri e cittadini, i diritti sociali in quanto inviolabili e spettanti ad ogni persona umana. La categoria della cittadinanza è quindi da questo punto di vista - giustamente - recessiva. Esemplifico: se una persona è invalida, che sia straniero regolare o cittadino è e deve essere assolutamente indifferente ai fini della fruizione ad esempio di un contributo per poter fruire dei servizi pubblici.
RispondiEliminaCondivido l’idea di coloro che vogliono riconoscere il diritto alla cittadinanza di quanti, figli di genitori stranieri, sono nati in Italia e sono cresciuti e vissuti da noi, parlano correttamente la nostra lingua e persino i nostri dialetti, hanno frequentato le nostre scuole, in sintesi hanno trapiantato qui le loro radici.
RispondiEliminaE’ nel nostro interesse far sì che gli stranieri vengano e restino in Italia.
Il problema non sono gli immigrati; il problema vero è costituito dai nostri ritardi e dalla nostra inadeguatezza a governare il fenomeno, ormai inarrestabile, dell’emigrazione.
Come non pensare che gli immigrati contribuiscano alla ricchezza nel nostro paese svolgendo quei lavori che gli italiani non vogliono più fare e determinando con il loro lavoro l’aumento del PIL?
Il nostro sistema però di fronte al fenomeno dell’immigrazione è impreparato perché non abbiamo un sistema legale in grado di contrastare il lavoro nero, un piano abitativo in grado di ospitarli, un sistema di vigilanza in grado di eliminare la clandestinità.
Certamente è un problema vasto e complesso che richiede un sereno approfondimento culturale e soprattutto di riflessione e analisi da parte delle forze politiche che potrebbero e dovrebbero trasformare il problema in risorsa, anziché dividersi pregiudizialmente per motivi di propaganda elettorale, in favorevoli e in contrari.
Sono d’accordo con Mistritta quando dice che occorre far in modo di trasformare il problema in risorsa per il nostro paese.
RispondiEliminaOccorre che non vadano via gli immigrati, con una legge che garantisca il diritto alla casa con un piano di inserimento abitativo, che sia istituito un sistema di contrasto al lavoro nero, e norme di vigilanza che funzionino.
Ecco dove sta il problema, il nostro è soprattutto un problema culturale. Come dicevo nel mio precedente intervento pensiamo che gli immigrati fanno quei lavori che non facciamo più noi, o magari che non possiamo fare più. Fanno i lavori umili, aiutano i nostri genitori, fanno i contadini.
Ma ricordiamoci che sono due distinti i problemi che vanno regolamentati con leggi: la prima una legge sull’immigrazione nel suo complesso per chi arriva in Italia, la seconda quella che riguarda il riconoscimento del diritto di cittadinanza, che chiamiamo ius soli o ius sanguinis, al nascituro, figlio di genitori che risiede e lavora in Italia da un minimo di anni…E su questo tema la mia posizione è già nota!
Chi nasce in Italia e' italiano. Punto e basta! FGM
RispondiEliminaE' cittadino italiano, indipendentemente dal luogo di nascita, chi nasce da genitori cittadini italiani.
RispondiEliminaE' dunque cittadino italiano anche il figlio nato all'estero di un cittadino italiano e tale principio applicato agli extracomunitari prevede che il cittadino straniero che nasce in Italia non acquista la cittadinanza.
D'accordo con Calogero. L'importante è che nel luogo di nascita vengano applicati i criteri relativi all'assistenza sanitaria, sociale, scolastica e quant'altro previsto dallo stato in cui avviene la nascita per i propri cittadini, perchè come dice la campagna nazionale "Io come tu": Tutti uguali di fronte alla vita, tutti uguali di fronte alla legge.
RispondiEliminaFaccio un'ulteriore riflessione. Se io fossi nato mentre mia madre si trovava in quel momento, poniamo, in Burkina Faso, con tutto il rispetto per gli abitanti di quello stato, potendo decidere, avrei preferito mille volte essere un cittadino italiano nato all'estero anzichè, sempre con tutto il rispetto, un burkinese (si dice così? boh!). E come dice il grande Prof. FGM: punto e basta!
Ho apprezzato l'articolo del prof. Hamel.
RispondiEliminaIn esso io leggo il riconoscimento di quell'inevitabile processo che sta portando il mondo occidentale a prendere atto della necessità di superare i principi dello Jus sanguinis per approcciare quelli ben più civili ed attuali dello Jus soli. A ben vedere oggi l'eccezione è da rinvenirsi in quei paesi che mantengono un'anacronistica cecità rispetto a questo processo. Basta fare un giro per le strade delle città italiane per capire il ruolo fondamentale che gli immigrati svolgono nell'economia e nella vita del nostro Paese, chi non lo vede è cieco. Personalmente ho auspicato, già in una precedente discussione, che il tema potesse essere affrontato con serietà e lungimiranza. Già il fatto che non si sia parlato di stragi mi sembra un passo avanti. La ricetta proposta nell'articolo mi sembra convincente. Una legge che garantisca la cittadinanza automaticamente, dalla nascita, ai figli di immigrati residenti in italia da 5 (massimo) anni. Detto questo vorrei ribadire che il ministro Kyenge, nel suo ruolo, ha il dovere di sollevare ed affrontare la questione, che è reale e di interesse generale (le questioni "personali" purtroppo sono ben altre, ed in sicilia le conosciamo bene). Le forze politiche che si riconoscono in queste posizioni dovrebbero portare immediatamente in aula una proposta di legge in tal senso, a prescindere da maggioranze preventivabili o meno...al momento del voto ciascuno si assumerà le proprie responsabilità davanti alla storia.
Mi pare che con questo articolo di Pasquale Hamel si possa considerare conclusa, almeno per adesso, la nostra battaglia, con il proficuo e a volte aspro dibattito che ne è conseguito, per la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri.
RispondiEliminaUn diritto fondamentale che, molti di noi, ritengono imprescindibile. Un principio sul quale le forze politiche dovranno scegliere e per il quale sarà massima la nostra attenzione per le ulteriori azioni che riterremo opportune.