di Francesco Gallo Mazzeo - Nunzio Massimo Nifosì ha dedicato a Piero Guccione un film, dal titolo Verso l’infinito, costruito sulla reciproca confluenza, tra immagini e parole, che dettano la loro specificità, in un contesto soffice, che non costringe, niente e nessuno, a tenere una parte in concerto, anzi partendo dall'assoluta libertà di dire qualsiasi cosa,
mettendo insieme, con l’alchimia del montaggio, una serie di monologhi, provocati ad arte da un’abile regia, che ha sommato, senza sommare, sottratto senza sottrarre e facendo apparire, lui, proprio lui stesso, il protagonista, come un “involontario” testimone di se stesso, che si confessa e confessa, come davanti ad uno specchio, in tanti frammenti, che si vanno componendo sul filo della memoria dello spettatore, facendo salti temporali e concettuali che diventano chiarificazioni e definizioni di un percorso, la cui logicità non viene da una meticolosa costruzione, ma dal comporsi di un caso, che non è mai del tutto tale, perché ci sono i sotterranei della memoria, dei desideri, delle passioni, che entrano in gioco e compongono le varie parti e stratificazioni, dell’uomo e dell’artista.
mettendo insieme, con l’alchimia del montaggio, una serie di monologhi, provocati ad arte da un’abile regia, che ha sommato, senza sommare, sottratto senza sottrarre e facendo apparire, lui, proprio lui stesso, il protagonista, come un “involontario” testimone di se stesso, che si confessa e confessa, come davanti ad uno specchio, in tanti frammenti, che si vanno componendo sul filo della memoria dello spettatore, facendo salti temporali e concettuali che diventano chiarificazioni e definizioni di un percorso, la cui logicità non viene da una meticolosa costruzione, ma dal comporsi di un caso, che non è mai del tutto tale, perché ci sono i sotterranei della memoria, dei desideri, delle passioni, che entrano in gioco e compongono le varie parti e stratificazioni, dell’uomo e dell’artista.
Il tema del mare e del cielo, non precisamente in quest’ordine, anzi, proprio all'inverso, è una dominante leggera, metaforica, ora visibile, ora invisibile, tra documento reale e invenzione artistica, che viene a fare da solenne punteggiatura, a tutto un discorso d’intreccio, che finisce con l’apparire semplice, ma tale non è, avvolto nel fascinoso transito, tra il noto e l’ignoto, perché basta una linea più corta o più lunga, un blu più o meno intenso e tutto cambia, diventando un altro punto di vista, un’altra cosa. Ecco, questa magia della pittura e in qualche misura anche del pastello, la luminosità delle riprese, riesce a darla molto bene, nei vari passaggi del racconto, di musiche ed immagini, in cui il punto di riferimento rimane fermo, sicuro, in un attraversamento del tempo che non è assolutamente realistico, con le ampie vedute dello spazio, che sospende la stessa cronologia che lo ha generato, nelle lunghe sedute davanti alla tela, davanti ad ogni superficie nuda, che diventano d’un tratto un nulla, davanti all’exitu, di ogni volta, sempre nuova, sempre affascinante.
L’arco teso di tutta una vita, è fatto di tante cose, di tanti viaggi e di tante soste, incontri, apparizioni, innamoramenti, scoramenti tristezze, liberazioni, gioie, come di un rosario che si snoda, ma non scioglie il suo legame, tra quelli che vanno e lui è andato e quelli che tornano e lui è tornato ( nel suo luogo, dove ogni cosa ha le stimmate di una straordinaria eternità). Il rintocco delle testimonianze “volontarie”, fatto dalle voce e dai volti, di alcuni importanti critici e compagni di strada, si è rivelato fondante, al punto d’essere una vera dialettica plurale, della sua singolare opera, che il regista ha saputo tratteggiare con una spumeggiante fotografia, da cui emerge una funzione immobile del movimento, che fa da alfabeto di tutta una poetica e una immaginaria, dalle sue partenze sperimentali e di studio, che per la verità non sono state mai abbandonate, agli interminabili dialoghi con la tradizione, senza farne mai, né uno sperimentalista, né un tradizionalista, ma un artista che si serve della tecnica, come strumentazione della sua poetica.
La trama del film, sottolineata, in maniera particolare, da Guido Giuffrè e Paolo Nifosì, ma anche da tutti gli altri preziosi interventi, dà una guida di lettura, che va dall’orizzonte ravvicinato della sua Volkswagen, all’infinita profondità del cielo, attraversando tante suggestioni, solo in apparenza paradossali rispetto ad una sua dirittura di fondo, arrivando fino alla matericità di Burri, approfondendo le oppositività di Bacon, da una parte e di Friedrich dall'altra.
Tutto, al fine non già di dare risposte, definitive, ma di annunciare una composizione d’insieme, di quella che è già una storia di Piero Guccione, con tanti capitoli ancora da scrivere, quindi, una narrazione aperta, con esclamazioni vibrate e convinte, con querelles di cui tutti noi dobbiamo rispondere, agganciando quello che può essere, soltanto, un buon vedere, ad un saper vedere. Insomma, una monografia, inventata e realizzata, con mano leggera, vitalizzante e mai deformante, capace di essere reale, fantastica e lirica, dimostrando che l’idea è nulla senza la passione.
Francesco Gallo Mazzeo
14 marzo 2012
Caro prof. mi scuso e confesso di essere un vero ignorante praticante ,pero' mi consenta di dire che quello che lei ha scritto e che io ho letto attentamente ,e' '' Bellissimo ''.
RispondiEliminaCaro Volpe, siamo tutti ignoranti, di qualcuno o di qualche cosa,il vero problema è quello di non esserne coscienti(che è gravissimo, perchè porta all'arroganza e al dogmatismo)la vera risorsa è di esserlo, perchè allora l'ignoranza diventa una spinta, un desiderio, inesauribile, a sapere:una vera ricchezza. FGM
EliminaMi inchino di fronte al periodare lungo e complesso del pro. Gallo Mazzeo; ma confesso di provare difficoltà a seguire una prosa dove il primo punto viene posto dopo centosettantotto (178) parole e trentadue (32) virgole. Decisamente ci vuole una memoria RAM notevole, una volontà di ferro, un minimo di allenamento e il cervello molto riposato, come di prima mattina. Grazie, comunque, professore!
RispondiEliminaCaro Pepe, allenarsi non ha mai fatto male a nessuno:il conto delle parole e delle virgole è giusto. Io non sono nè formalista. nè sostanzialista, sono un tremendo individualista e non posso fare altro, che quello che sento. La ringrazio per la sua cortese simpatia e sottlineatura, del testo, che a volte può avere, una sua oggettiva difficoltà, non lo nego.FGM
EliminaEgregio professore ho letto con grande attenzione ciò che lei scrive sapientemente su Piero Guccione ,presa dalla curiosità'verso questo artista di cui,confesso,sapevo molto poco.Credo che nel film vengano messe in luce la delicatezza e la profondità dell'autore,che sa esprimere il suo mondo poetico attraverso l'immagine. Il pennello dispiega un percorso di vita forse tra realtà e sogno...Così come la penna di un poeta trasferisce sul foglio sentimenti,impressioni ,soffuse sensazioni e ricordi... Mille ringraziamenti e saluti.E'assai costruttivo(e un tantino impegnativo) "leggere" persone come lei!
RispondiEliminaGentile emmag,la pittura, la poesia, il teatro, il cinema,l'arte inventiva, che è la forma antropologica della creatività divina, che appartiene all'uomo(nel senso pieno di umanità capace di staccarsi dalla natura e di comprenderla linguisticamente ed emotivamente)sono la più grande risorsa di cui disponiamo tutti, altri ci aggiungono anche la fede:che i "tutti" e gli "altri" si tengano sempre per mano: è necessario perchè questo presente non si chiuda la porta del futuro.FGM
EliminaHo letto con gusto il Suo intervento e leggendolo mi sono estraniato dalla realtà.
RispondiEliminaGIUSEPPE A.
Bisogna estraniarsi spesso dalla realtà, perchè altrimenti essa si traduce in realismo e in positivismo, che sono la faccia tremendamente speculare dell'allucinazione e dell'utopia: entrambe, forme della morte dello spirito, che invece è, libero gioco della fantasia:FGM
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