di Francesco Gallo Mazzeo - E’ proprio così: vince chi vince e perde chi perde. Terraferma di Crialese è stato escluso dalla corsa dei premi Oscar, che i poteri forti dell’industria culturale californiana, attribuiscono ogni anno, facendo del premio un gioco di specchi,dove alla fine vincono sempre loro: ci si può lamentare, ma non serve a nulla e ci si accuccia,
nella speranza che l’anno successivo possa andare meglio, in una posizione di addolorato servilismo. Terraferma, viene dopo Mondo Nuovo, un film che vale un’odissea, tutto recitato in dialetto siciliano, un’ altra storia di emigrazione, verso la terra americana e testimonia di una capacità di rappresentazione cinematografica della realtà siciliana, che dalla Terra Trema, di Luchino Visconti, non ha mai cessato di essere presente, alla cultura, all’immaginario, passando per i film di Pietro Germi, per autentiche gemme come Divorzio all’italiana e per i drammoni grotteschi di matrice brancatiana, di Paolo il caldo, per film dello star system, come Il Gattopardo, attraversando un sessantennio di produzioni a cui a dato un contributo notevole la narrativa sciasciana, non solo per la trama de Il giorno della civetta, ma per tutto un modo di intendere, questa terra, di comicità, di grottesco,di satira, di tragedia.
La parabola artistica di interpreti come Lando Buzzanca, partito da filmetti tipo San Pasquale Bailonne, per approdare alla magistrale interpretazione del Restauratore, dopo avere dato la sua tecnica alla Rex Harrison, nel film ispirato dai Viceré del De Roberto, del trio catanese, costituito da lui, da Capuana e da Verga, a cui si deve il Mastro don Gesualdo, televisivo e straordinario, di un trentennio fa, per continuare col Garofano Rosso, dovuto al genio scrittore di Conversazione in Sicilia, il planetario Elio Vittorini, inventore di Politecnico e Menabò, per arrivare a Caos dei fratelli Taviani, dove è stato rivelato il genio di Franchi e Ingrassia è soprattutto a Baaria, di Giuseppe Tornatore, un quarto stato, in una terra che non ha mai avuto un terzo stato da umanesimo, da rinascimento, da rivoluzione industriale, e che ha dovuto fare tutto questo nella fretta e nella concitazione del novecento. E che dire di Tano da morire, l’opera buffa di Roberta Torre, che ha dimostrato, che si può ridere di tutto, senza perdere il senso della realtà e facendo spettacolo, che come il teatro di Edoardo, vada da Mosca a Tokio a New York, perché questo è il cinema.
Quale altra realtà regionale italiana si presta, come Il Capo dei capi ha dimostrato, tenendo incollati al video milioni di persone, dalle alpi a capo passero, ad essere metafora di tutta la realtà italiana. Nessuna. Per questo, a partire da sberle come quella data a Crialese, soprattutto noi siciliani, dobbiamo ripartire per una risalita ripida, ma necessaria pena, l’immersione nel folclore e nella marginalità, come stiamo facendo da troppo tempo, anche per colpa di un ceto politico e dirigente che parla di cultura, come del nostro oro nero, ma poi si comporta in maniera incapace e irresponsabile,
Quale senso hanno avuto i filmetti di Termini Imerese, che hanno tentato la cattedralina nel deserto, senza badare all’imprenditoria, alla scenografia, alla recitazione e collateralmente alla formazione, alla valorizzazione, alla diffusione, sapendo anche che non abbiamo né televisioni, né giornali che varchino lo stretto. Là bisognava fare grandi produzioni, da varcare limiti e confini, perché è nelle nostre potenzialità, ma anche in troppe delusioni.
A che serve il marginale festival del cinema di Taormina, che dà qualche premio e basta, senza essere il motore di una cultura cinematografica e di una imprenditoria specifica, capace di saltare sulla tecnologia, bruciare tappe e tappine e tendere ad un nostra Bolliwood.
Che lavoro fa la Film Commission della regione? Solo piccolo cabotaggio, senza soldi e senza idee e allora perché ci dovremmo aspettare qualche cosa di più. Bisogna avere una vera politica per le attività culturali, bisogna su di essa investire e investire molto e poi affidarla a chi se ne intende: gli altri, a casa.
Chimera? Forse! Ma, meglio che niente.
Francesco Gallo Mazzeo
22 gennaio 2012
È vero, a che serve la Film Commission della Regione Siciliana? E anche il festival di Taormina, non riusciamo a fare sistema a creare spazi culturali di livello internazionale uscendo da un provincialismo suicida. Forse basterebbe fare un giro altrove nel mondo per capire come si fa, cosa serve, che investimenti ci vogliono e chi se ne deve occupare. Ma la Regione Siciliana ha questa volontà? Vuole davvere costruire qualcosa di serio per il cinema e per la cultura di questa terra? Non è dato sapere
RispondiEliminaLa cosa grave,in tutti i sensi, è che non si riesce ad aprire nessun dabattito sulla specificità, con il concorso della cultura e della società civile, che non possiedono strutture organizzative e di comunicazione, per cui il ceto politico rimane autoreferenziale, partorisce e mantiene in vita autentiche mostruosità. FGM
RispondiEliminaTerraferma è un dignitoso film, nulla di più, il solo citare il capo dei capi mi indigna come cittadino prima e come siciliano dopo, una delle cose più indegne e pericolose che si possa aver concepito. Vedo elencati una serie di film (Visconti e Germi sono altra cosa) ma non c'è alcun riferimento al cinema di Ciprì e Maresco che sono le ultime vere novità nel panorama, degli ultimi anni, nel cinema in Italia. (Paolo Greco)
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