di Francesco Gallo Mazzeo - La morte di Enzo Consolo segna l’epilogo di un percorso trionfale, per la letteratura siciliana, che ha come data iniziale il secondo ottocento e come data finale questi anni del nuovo secolo e del nuovo millennio. Della sua opera voglio ricordare solo ciò che mi ha segnato in maniera indelebile, tocca ai critici letterari e agli specialisti, come
Salvatore Silvano Nigro, Corrado Stajano o Cesare Segre il giudizio sulla sua opera complessiva, il cui notevole livello è confermato dall’imminente uscita di un Meridiano della Mondadori.
Salvatore Silvano Nigro, Corrado Stajano o Cesare Segre il giudizio sulla sua opera complessiva, il cui notevole livello è confermato dall’imminente uscita di un Meridiano della Mondadori.
Per me rimangono esemplari, tre opere dei suoi anni lontani, Il sorriso dell’ignoto marinaio, Retablo, Le pietre di Pantalica, quelli prima e quelli dopo, li ho persi un po' per strada, come tante altre cose e non c’è dubbio che devo assolutamente rimediare, come un pensiero martellante, mi batte nella testa, anche perché a comprarli sono stato sollecito, ma non a leggerli ed oggi tutti, ma maggiormente, Nottetempo casa per casa e Il corteo di Dioniso, mi guardano con bonaria, ma non tanto, aria di rimprovero. Va bene, va bene, rimedierò e appena finito di scrivere questa nota, vado subito a impilarli e rimediare al tempo perduto: La ferita dell’aprile, Lunaria, L’olivo e l’olivastro, Di qua dal faro, neanche voi lascerò fuori. Anche perché Consolo, che ho conosciuto molti anni fa, ha compiuto con la sua opera una recherche, come oggi non avviene più, con la caduta, dei tanti che si provano a scrivere, in un intimismo psicologistico, che è al di qua del bene e del male, senza storia e a mio avviso destinato a non fare storia.
Al nome di Consolo, si associa subito quello di Sciascia e di Bufalino, a fare una triade, che richiama alla mente quella catanese di Verga, Capuana e De Roberto, che apre le danze di un tempo di ricchezza, che richiede le pagine di una enciclopedia per contenere solo i nomi, non parliamo delle opere dei poeti e degli scrittori, nati in questa terra, senza il cui contributo questi centocinquanta anni di unità italiana, sarebbero stati molto poveri, tremendamente poveri. Provate infatti a sottrarre Luigi Pirandello e tutto vi apparirà diverso, provate a fare scomparire Borgese e Rosso di San Secondo e crolla tutto: proviamo a fare qualche nome, chiedendo il soccorso del mio unico lettore per le dimenticanze. Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Ercole Patti, Stefano D’Arrigo, Tomasi di Lampedusa, Giuseppe Bonaviri, Buttitta, Piccolo, Camilleri… vi sembrano pochi… e allora aggiungiamo Bruno, Savarese, Pizzuto, Cattafi, Vann’Antò, Apolloni, che sono meno conosciuti, ma minori non sono affatto, per delineare un quadro, che tranne per poche eccezioni è stato un quadro di emigrazione, come lo è stato per i grandi pittori e scultori dello stesso periodo o quasi, da Guttuso a Migneco, da Messina a Greco, da Mazzullo a Cannilla, da Consagra a Carla Accardi, da Simeti a Pinelli. Senza avere nessuna voglia di immaginare steccati e confini, considero non esaltante, se non addirittura penoso, che questa terra non sappia trattenere i propri creativi e non ne sappia attirare di milanesi, di romani, di stranieri.
Il problema è che città grandi come Palermo e Catania, non riescono a diventare grandi città, soffrendo di un nanismo intellettuale che realtà come quella editoriale di Sellerio, non sono riuscite ad intaccare e nonostante l’indubbio fascino che la Sicilia possiede, fatta di mille e mille sicilie, ricche di storia, d’arte, che non diventano dimora né fissa né parziale e di ciò ho fatto una conta, in occasione dell’inaugurazione di Sant’Anna, come nuova sede della galleria d’arte moderna, sfollata da Politeama. Centinaia di protagonisti della scena mondiale, tra creativi e scienziati, solo di Palermo, che mi hanno fatto capire quanto lunga è la strada (ma più prima che poi, bisognerà cominciare a percorrerla) per diventare profeti in patria, per non contare tutti gli altri di città grandi e piccole, da cui la storia, anche la grande storia è passata, ma il cui presente è abbastanza ordinario. E voglio concludere con cinque nomi che valgono un augurio: Franco Battiato, Manlio Sgalambro, Piero Guccione, Gioacchino Lanza Tomasi, Enzo Sellerio. Cara Sicilia bella!
FRANCESCO GALLO MAZZEO30 GENNAIO 2012
Nemo profeta in patria est, fuit et erit...credo sia legge di natura...quella stessa natura che regala gemme come gli scrittori, i pittori, gli scienziati...lungimiranti visionari che devono essere rimirati da lontano per essere ascoltati con nostalgia del perduto. sul nanismo ho perplessità: magari non c'è consapevolezza, magari ve ne è troppa di essere piccoli e, quindi si accetta un angolo da cui guardare e traguardare con acume silenzioso, magari, invece, si è giganti spaventati, magari si vuole solo camminare leggendo e facendo leggere....
RispondiEliminaSellerio è l'opposto del nanismo, intendiamoci, magari ce ne fossero tanti, come lui, purtroppo non è così, ma non certo per colpa sua. Il nanismo è congenito alla malconcia modernità siciliana, che perde continuamente i propri creativi e non riesce ad attrarne alcuno. Sui profeti in patria, non sono d'accordo e non la pensano così le realtà vicenti come Milano, Bologna, Torino o Roma: dobbiamo diventare grandi, senza perdere tradizioni, storia e identità, ma grandi!FGM
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