di Salvo Geraci - Dunque siamo arrivati al Natale. Il periodo, come tutti sappiamo, non è particolarmente felice. In questa particolare temperie, allora, più che in altri anni, occorrerebbe tirare delle somme.
Tuttavia, non abbiamo voglia.
Del resto, è un lavoro che stanno facendo in tanti, molto più bravi di noi.
E allora questo è uno dei rari casi nei quali essere una voce marginale è addirittura conveniente. Puoi permetterti infatti di scrivere su argomenti che ti stimolano davvero; anche soltanto su sensazioni, emozioni.
E’ per questo motivo che ho deciso di scrivere di una categoria, che, sotto diverse denominazioni, occupa raramente le pagine di blog e giornali. E, più che altro, per pezzi di costume, o, meglio, di colore.
Mi riferisco a quei diseredati che in America chiamano ‘homeless’, in Francia ‘clochards’, in Italia – più prosaicamente – “senzatetto”, ma anche a quella sottocategoria definita, sempre con termine francofono, ‘sens papier’, e cioè “senza permesso di soggiorno”, comunque degli emarginati.
Assumendomi inoltre la responsabilità della scelta forse inopinata, ritengo di dover includere nell’elenco dei senza casa e dei senza carta, anche quelli che definirei i ‘clochards’ dei sentimenti... con questo termine intendendo quegli esseri umani che, senza più alcun riferimento sociale o familiare, senza più alcun aggancio con le istituzioni (almeno con quelle cosiddette "normali"), sono decisamente più ai margini di tutti.
Coloro i quali non pagano più le tasse (e non perché siano degli evasori per scelta) e quindi se pure avessero qualcosa non potrebbero più neanche tenerla per sé, poiché alla prima occasione gli verrebbe sottratta per legge.
Quelli dei quali, spesso, con sorprendente leggerezza, forse per alleviarsi l'animo, molti dicono che conducono quella vita per scelta, e che - se pure li si rimettesse all'interno di un'istituzione - ci starebbero male e probabilmente andrebbero via.
E forse è vero.
Ma come è vero per coloro che, digiuni da tempo, messi di fronte a pranzi luculliani, non riuscirebbero a mangiare che pochi bocconi, poiché lo stomaco stesso si rifiuta di ricevere ciò cui non è più abituato.
Alcuni di questi soggetti, intendo i senzatetto delle emozioni, effettivamente con qualche probabilità, potrebbero ancora tentare alcune vie, cercare di sopravvivere, di vivere dietro o dentro i muri di un'istituzione assicurandosi una branda e qualche pasto caldo. Ma è vero che spesso non vogliono.
Non vogliono vivere ai margini estremi di una società, o peggio, di una famiglia, che li ha rifiutati.
Vorrebbero invece starci dentro interamente, e, se non possono, preferiscono acconciare qualche cartone umido per strada e sgranocchiare pezzi di pane azzimo.
Riguardo alcuni di loro è difficile credere che, una volta, anche lontano nel tempo, siano state delle persone cosiddette "normali"; è difficile credere che abbiano una storia, eventi da raccontare popolati addirittura da familiari, parenti, amici, colleghi e comunque tutte quelle figure che, di norma, ci fanno sentire di far parte di qualcosa, di appartenere a qualcuno.
Adesso non avrebbe più neanche senso dire cosa è venuto meno; sono storie spesso uguali, ma tuttavia diverse l'una dall'altra.
Se non altro perché ogni uomo, ogni persona, è diversa dall'altra!
Quel che adesso conta è il loro abbrutimento; un abbrutimento che talvolta li fa apparire dimentichi, scontrosi, forse addirittura cinici e rabbiosi.
Li sfioriamo agli angoli delle strade, scavalcandoli come oggetti; su molti fioriscono le leggende metropolitane che spesso servono a giustificarci, nei confronti di noi stessi o degli altri, per non elargire un’elemosina, incredibilmente talvolta solo per il fastidio di cercare una monetina.
E, se la facciamo, l'elemosina, immediatamente sentiamo di avere acquisito dei diritti sul soggetto che la riceve. Gli raccomandiamo di non spenderla in fumo o in alcolici, pretendendo che il nostro misero obolo costituisca l'occasione per il ricevente di riscattare un'intera vita e di intraprenderne una nuova, priva anche di quei piccoli vizi (o gratificazioni?) che, ormai, soli costituiscono momento di oblio di una condizione miserevole.
Dicevamo di leggende metropolitane; ci piace infatti raccontare di mirabolanti prebende ricevute da alcuni di loro e vergognosamente conservate. O, ancora, ci piace raccontare delle storie fantastiche che li vorrebbero provenire da famiglie agiate e colte, dalle quali si sarebbero allontanati volontariamente esclusivamente per loro colpa o bizzarria.
In questa contingenza natalizia, in questo scorcio finale di un anno facente parte di un periodo da dimenticare, probabilmente è opportuno confermarsi nel convincimento che a noi non potrebbe mai succedere... se solo per un attimo, infatti, pensassimo il contrario, probabilmente passando accanto ad un angolo dove staziona un homeless, probabilmente non lo scanseremmo semplicemente come se fosse un pacco o una pietra.
Forse dedicheremmo loro uno sguardo di quelli che spesso riserviamo ai cuccioli abbandonati che vagano per le strade, forse daremmo loro un'elemosina più congrua, forse gli rivolgeremmo un sorriso, forse non pretenderemmo di dargli lezioni di moralità, forse ci renderemmo anche conto che sono stati degli uomini come noi e che... per quanto in balia del caso avverso, sono sempre degli uomini; non me ne vogliate per questa ultima affermazione: qualche volta perfino un po' più di noi!
Buon Natale,
SALVO GERACI18 dicembre 2011
Complimenti Salvo !
RispondiEliminaQuesti sì che sono dei sonori e salutari schiaffoni al perbenismo ed alla vigliaccheria morale dei ben pensanti che credono di non essere degli emarginiati esclusivamente per merito loro , e non invece , anche , per la fortuna di non avere subito l'abbattimento sulla propia vita di avversità incolpevoli (capovolgimenti economici , malattie ,incidenti , tradimenti , indifferenze ed egoismi), che hanno devastato il nostro equilibrio .
Queste persone , gli emarginati , ci sconvolgono perchè sono lo specchio di quello che chiunque di noi può diventare in qualunque momento , in un istante , contro ogni previsione e certezza .
Chi non vive in una condizione di tale disagio deve sentire non il dovere , ma il bisogno ,la necessità di dare e di fare qualcosa per queste persone , per per dirgli "grazie" per la loro esistenza che ci dà la misura della "nostra diversità" per una vita esente da quei disagi estremi .
Buon Natale ! Certamente !Ma , soprattutto , un forte monito a tutti noi a rinascere persone vere , sobrie , essenziali in tutto , veramente umane . Cioè , dall'indifferenza passiamo alla comprensione , e da quì alla solidarietà fatta di parole ed opere .
Avevo sette o otto anni, quando un giorno, seduto ad un ristorante di Mondello, assieme alla mia famiglia, vidi un Barbone che da fuori, dietro i vetri, guardava la gente che mangiava, ero piccolo ma ricordo di essermi intristito a vedere quell'uomo che chiaramente aveva fame e che con gli occhi sembrava dicesse “datemi da mangiare”, d'un tratto vidi mio padre alzarsi ed andare incontro a quel barbone, per un attimo ho avuto paura che stesse andando per rimproverarlo, o per allontanarlo, invece, un minuto dopo, quell'uomo era seduto al nostro tavolo che mangiava assieme a noi.
RispondiEliminaProvai una sensazione bellissima, da un lato l'ammirazione per mio padre che aveva fatto un gesto bellissimo, e dall'altra la contentezza di quell'uomo nel mangiare, nel bere e alla fine, nel fumare, la sigaretta in compagnia di mio padre.
Devo dire che questa esperienza mi ha lasciato un segno, oltre ad essere fiero per il gesto di mio padre, ho sempre, a modo mio, rispettato questa povera gente che per scelta o per necessità vive una vita di stenti e di sofferenze.
Provo ad immaginare, oltre alla libertà da tutto e da tutti, quali altri benefici possano avere, visto che sono privati di tutte quelle comodità a cui noi siamo normalmente abituati, e francamente spero di avere, un giorno, la possibilità di allietare, anche se per poco, la vita di un barbone.