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domenica 4 settembre 2011

Dipendenti pubblici

Dalla riforma Bassanini alla riforma Brunetta sono passati diversi anni. Fu nel 1997 che si pose mano alla prima vera riforma della pubblica amministrazione.
Si avviò, allora, il processo di semplificazione per rendere lo Stato più leggero e più vicino ai cittadini. Le liberalizzazioni e le privatizzazioni di importanti settori economici, inoltre, avrebbero dovuto garantire una più razionale e meno costosa gestione dei servizi essenziali, con un ingente introito di risorse economiche fresche nelle casse del Tesoro. La riforma sancì pure la drastica riduzione dell’enorme numero di certificazioni di ogni genere. E grazie alla procedura dell’autocertificazione l’avvio di attività economiche ne ha tratto beneficio.Ma è con il Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150,ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta, che la riforma strutturale della Pubblica Amministrazione prende forma.


Un’organizzazione statale snella, efficiente e orientata alla qualità e al risultato. Il “lavoro pubblico” verso una sostanziale privatizzazione dei contratti e una modifica sostanziale che ha accentuato la separazione tra la Politica e l’Amministrazione. La prima, determina le scelte, gli indirizzi e le strategie, la seconda è gestita dai dirigenti che diventano unici responsabili dell’apparato amministrativo. La Politica, inoltre, attua i controlli e le verifiche sui risultati. La cosiddetta “privatizzazione” del pubblico impiego, basata su un rapporto contrattuale secondo parametri di professionalità e produttività, per quanto riguarda la classe dirigente, si è ben sviluppata e consolidata. 

Oggi i dirigenti responsabili di settori pubblici che erogano servizi ai cittadini hanno acquisito uno status paragonabile a quello di dirigenti di grandi aziende e in alcuni casi, a momenti, a quello di amministratori delegati. Con poteri reali, gestione esclusiva della spesa, organizzazione e controllo del personale gerarchicamente dipendente. E benefit di ogni tipo (telefonino open,auto di servizio con autista, mazzetta dei giornali, orari flessibili e senza controlli, viaggi studio e missioni, buoni pasto quotidiani e indennità varie), retribuzione adeguata e, spesso, molto alta con possibilità di ulteriori aumenti per incarichi extra. Sostanzialmente, però, poche concrete responsabilità dirette sul risultato complessivo dell'ente pubblico di cui fanno parte. 

Però, non c'è dubbio, si sono fatti passi avanti. La riforma Brunetta ha puntato molto, anche troppo, su temi come le assenze per malattia,il controllo delle presenze, la produttività e l'inasprimento delle sanzioni per i dipendenti infedeli. Ma, per i lavoratori non dirigenti, di meritocrazia,valorizzazione delle risorse umane, crescita professionale,aggiornamenti, premialità, carriere, tutto quanto previsto nel Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150,nulla. Tutto come prima. Il loro impegno quotidiano, la voglia di crescere e fare meglio, le giuste aspirazioni di carriera e i miglioramenti retributivi,nemmeno a parlarne. 

E su tutto ciò il sindacato ha tenuto a mantenere il controllo della massa, puntando più al raggiungimento del medesimo risultato per tutti (sempre meno consistente e reale) secondo un principio di uguaglianza ormai datato. Sono, finora, mancati gli atti di coraggio per una vera e profonda riorganizzazione, sarebbe meglio parlare di rivoluzione, del lavoro pubblico ponendo alla base di tutto proprio la meritocrazia, la responsabilizzazione, l'impegno, il risultato, le carriere, gli aggiornamenti professionali e la valorizzazione delle risorse umane. 

E, altro argomento, la semplificazione della classificazione del personale che dovrebbe tendere ad una drastica riduzione delle categorie e delle qualifiche, abolendo, tranne rari casi, i mansionari: superflui, inutili e dannosi. I salari dei dipendenti,inoltre, si trovano da anni agli ultimi posti in Europa e questo è un dato che rispecchia il valore che viene riconosciuto al "lavoro pubblico". Infine, senza avere la presunzione di ritenere queste considerazioni esaustive né tantomeno risolutive, si potrebbe prevedere l’applicazione di alcuni semplici parametri per determinare la giusta retribuzione, tutto compreso, per un dirigente. Moltiplicando, ad esempio, per “n” volte la cifra percepita da un dipendente al primo livello d'ingresso. 

Si stabilirebbe così la remunerazione massima che un altro dipendente pubblico, seppur dirigente, può percepire a compensazione delle responsabilità, dei rischi, e del proficuo lavoro svolto per la comunità. Un forte segnale di giustizia e trasparenza.

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